Riscaldamento globale: intervista agli esperti – parte 2

Le versioni della curva di temperatura media globale annuale da misure strumentali realizzate dai tre centri di ricerca climatica: HadCRUT3, NCDC e GISS. (Fonte: Query N.1 - https://www.cicap.org/n/articolo.php?id=274240)

Cambiamento climatico: continua la mini-serie di interviste agli esperti, alle diverse figure professionali che si occupano di questo argomento. In questa puntata intervistiamo la dottoressa Elisa Palazzi, climatologa.

Ecco i link alla prima parte e alla terza. Ma iniziamo subito con le domande alla dottoressa Palazzi:

1. Parlaci del tuo lavoro e della tua formazione

Sono una ricercatrice dell’Istituto di Scienze dell’Atmosfera e del Clima (ISAC) del CNR di Torino. Le mie ricerche riguardano lo studio dei cambiamenti climatici e dei loro impatti nelle regioni montane di alta quota che sono da considerarsi sentinelle del clima che cambia. In particolare studio come sono variate, stanno variando e potranno variare in futuro la temperatura e la precipitazione in montagna, ovvero le variabili che sono fondamentali nel determinare lo stato della neve e dei ghiacciai e, quindi, delle risorse idriche presenti e future. Questo il mio percorso: Laurea in Fisica presso l’Università degli Studi di Bologna nel 2003 con una tesi sulla misura dei gas inquinanti in atmosfera che ho svolto principalmente presso l’Istituto ISAC-CNR di Bologna; sempre a Bologna ho conseguito nel 2008 un dottorato in “Modellistica fisica per la protezione dell’ambiente”. Ho in seguito lavorato presso la sede di Bologna dell’Istituto ISAC-CNR fino al 2011, per poi spostarmi con una posizione a tempo indeterminato nella sede di Torino dello stesso Istituto, per effettuare ricerche maggiormente incentrate sullo studio dei cambiamenti climatici e dei loro impatti nelle regioni di alta quota. Sono coinvolta in un network internazionale per lo studio delle montagne e ho contribuito al capitolo sulle montagne dell’ultimo rapporto speciale del Comitato Intergovernativo per i cambiamenti climatici (IPCC), “Special Report on the Ocean and Cryosphere in a Changing Climate”, uscito in Ottobre 2019.

2. Cosa dice la tua disciplina a proposito del cambiamento climatico?

I dati mostrano inequivocabilmente che dal 1850 a oggi la temperatura è aumentata, in media su tutto il globo, di circa 1°C rispetto ai valori pre-industriali. 1°C in più di riscaldamento non è un aumento da poco se lo pensiamo mediato su tutto il globo e se guardiamo agli effetti che esso ha già provocato. I ghiacci terrestri e marini stanno fondendo, il livello dei mari si è innalzato per effetto della dilatazione termica delle acque più calde e della fusione dei ghiacci continentali mettendo a rischio molte comunità costiere e aggravando gli effetti di mareggiate ed eventi estremi sulle coste, l’intensità degli eventi meteorologici estremi e di precipitazione intensa è aumentata e, allo stesso tempo, si sono verificati periodi siccitosi più lunghi in alcune parti del globo, aumentando il rischio di desertificazione. Sono aumentate le ondate di calore. La biodiversità terrestre e marina sono fortemente in diminuzione e diverse specie animali e vegetali si stanno già estinguendo. Gli oceani sono diventati più caldi e più acidi, generando alterazioni importanti sugli ecosistemi marini. Questi effetti hanno amplificato i rischi per gli ecosistemi naturali e per le società umane che da essi traggono servizi e benefici essenziali. Sono aumentati i rischi per la salute umana, per l’approvvigionamento idrico, per la sicurezza alimentare. Questi rischi potranno aumentare se supereremo a fine secolo i 2°C in più di temperatura rispetto ai valori pre-industriali.

La scienza è concorde nell’affermare che le attività umane sono responsabili del riscaldamento osservato dalla metà del XX secolo e della sua rapidità, perché hanno portato a un repentino aumento delle concentrazioni di gas serra in atmosfera e, quindi, a un’amplificazione dell’effetto serra naturale. Il riscaldamento antropico è stato ulteriormente aumentato da meccanismi di amplificazione interni al sistema climatico, chiamati meccanismi di retroazione. Ad esempio, la fusione del ghiaccio terrestre o marino causata dall’aumento delle temperature, lascia scoperte zone di terreno o di oceano più scure, determinando così un maggior assorbimento della radiazione solare e quindi un maggior riscaldamento; la degradazione del permafrost a causa della propagazione del calore nel terreno libera in atmosfera metano, un potente gas serra che quindi causa un’amplificazione del riscaldamento iniziale.

3. Ci sono diatribe in corso su questo argomento, nella comunità scientifica?

Non c’è diatriba tra i climatologi e gli studiosi di scienza del clima: esiste un consenso superiore al 97% (dagli ultimi studi prossimo al 100%) tra gli scienziati del clima sulla causa antropica del riscaldamento e sulla specificità del riscaldamento attuale rispetto a quelli del passato. Come ribadisce un recente articolo uscito sulla rivista Nature, il riscaldamento attuale anzitutto è globale poiché interessa il 98% della superficie terrestre ed è anche sincrono, cioè è avvenuto quasi dappertutto e negli stessi anni. Questo lo rende molto diverso dai periodi di riscaldamento del passato, come quello medioevale o romano, che non solo sono stati limitati geograficamente all’Europa ma sono anche avvenuti qua e là in momenti diversi.

Nessuna causa naturale (ad esempio le variazioni nell’attività solare) può spiegare la crescita di temperatura che si è osservata negli ultimi decenni né la sua rapidità che gli studi di attribuzione effettuati con modelli di diversi tipi confermano essere associata alla crescita dei gas serra antropici in atmosfera.

4. Si sente parlare spesso di un gruppo di scienziati che ha scritto una lettera aperta che smentirebbe il legame tra attività umana e cambiamento climatico (i nomi più in voga che circolano sono quelli di Franco Prodi, Antonino Zichichi e Carlo Rubbia). Chi sono queste persone, quali le loro affermazioni e che prove ci sono a sostegno di queste?

Nel 2019 è uscita in Italia una petizione per negare la scienza del clima, sembra assurdo ma è così. In uno scenario di nuove conferme da parte della scienza sull’emergenza climatica in atto, ribadite in ben tre rapporti speciali dell’IPCC (“Global Warming of 1.5°C”, “Climate Change and Land”, “The Ocean and Cryosphere in a Changing Climate”) usciti nell’ultimo anno e mezzo e di movimenti dei giovani che si informano e chiedono si faccia qualcosa di concreto per contrastare la crisi climatica… quella petizione stona ancora di più oltre a fare rabbia. Ne abbiamo parlato diffusamente sul blog Climalteranti di cui faccio parte in questo articolo in cui punto per punto smontiamo le affermazioni antiscientifiche che compaiono in quella petizione.

In Italia i negazionisti sono davvero un numero limitato di scienziati e accademici, la maggior parte dei quali si occupa o si è occupata di materie completamente diverse dalla climatologia e non sono esperti nelle questioni di clima che ovviamente richiedono, come per tutte le atre scienze, preparazione, dedizione, anni e anni di studio. La questione non è poi neppure che i negazionisti rappresentino una assoluta minoranza ma è che le loro affermazioni non sono in alcun modo supportate dai dati. Affermare che il riscaldamento attuale non si distingue da quelli già avvenuti nel passato adducendo come prove falsi miti (vere e proprie bufale) quali quello della Groenlandia “verde” colonizzata da Erik il rosso (la Groenlandia è così dal almeno 150 mila anni) o il facile attraversamento di Annibale delle Alpi grazie al clima caldo, non è addurre prove scientifiche. Il fatto è proprio questo: non ci sono prove scientifiche e dati verificati a sostegno delle tesi negazioniste ed è questo che le fanno essere semplici opinioni – non scienza. Il problema è che queste opinioni disinformano su tematiche estremamente importanti e con ripercussioni serie sulle nostre vite.

5. Quanto dei contenuti del messaggio di Greta Thunberg è scientificamente corretto?

Greta Thunberg non riporta dati scientifici scorretti. Le sue affermazioni sono quelle che si ritrovano nei rapporti IPCC e nelle pubblicazioni di scienziati del clima che hanno al loro attivo lavori su riviste internazionali che pubblicano in base al meccanismo della peer-review. Cioè un curriculum adeguato. Il messaggio che Greta Thunberg manda è scientificamente corretto.

6. Quali misure può prendere la politica per migliorare la situazione?

Mitigazione e Adattamento sono le due strade necessarie per contrastare la crisi climatica. Mitigare significa agire sulle cause che hanno determinato i cambiamenti in corso, prima fra tutte l’incremento della concentrazione di gas serra in atmosfera. Per questo la principale (ma non unica) azione di mitigazione consiste nel tagliare le emissioni di gas serra in atmosfera in modo consistente nei prossimi 10 anni e poi arrivare a emissioni nette nulle nel 2050, il che implica ridurre fortemente la produzione di energia da fonti fossili (petrolio, gas naturale e carbone) e agire diversamente da come si è fatto finora sull’uso e lo sfruttamento dei suoli.

L’Adattamento è l’azione che serve a ostacolare gli impatti negativi del cambiamento climatico, e quindi non agisce sulle cause ma sugli effetti dell’aumento di temperatura. Alcune conseguenze dell’aumento di temperatura sono già in atto e altre sono inevitabili nel prossimo futuro, anche se smettessimo di emettere oggi. Bisogna quindi sapersi adattare e imparare a convivere in un mondo diverso: costruire barriere contro le inondazioni, adeguare le colture a condizioni climatiche diverse ad esempio privilegiando quelle più resistenti alle siccità, favorire corridoi per la migrazione delle specie… a tante altre azioni di questo tipo.

7. Cosa potremmo fare noi singoli in prima persona?

Sono molte le azioni che ogni singolo individuo può compiere, e credo che le si possa raggruppare in due grandi categorie: azioni che contribuiscono alla mitigazione da un lato (cambiando i propri stili di vita) e partecipazione alle azioni per il clima e, in generale, educazione dall’altro (prendendo anzitutto coscienza del problema).

Cambiare i propri stili di vita significa vivere sprecando meno, attuare una forma di energia circolare anche nella quotidianità, evitando inutili sprechi e producendo meno rifiuti, muoversi di più a piedi o in bicicletta, limitare l’uso della plastica, soprattutto quella monouso (usando borracce in vetro o alluminio anziché bottigliette, sacchetti di stoffa per la spesa anziché bustine in plastica), non sprecare l’acqua, spegnere le luci… cose minime che però fanno bene anche al nostro portafoglio, che ci fanno sentire meglio e che innescano percorsi virtuosi.

È ovvio però che senza una transizione energetica globale che dovrà essere necessariamente gestita dalla politica e che avrà molti costi tutte queste azioni non serviranno a nulla: per questo è essenziale anche una forte spinta dal basso sui nostri politici affinché mettano queste fondamentali questioni nelle loro agende, in modo serio una volta per tutte, affinché preparino dei piani che abbiano un orizzonte temporale lungo, intergenerazionale e soprattutto trasversale agli schieramenti politici.

8. Come mai l’uomo ha un impatto così grande? In quali periodi storici è stato raggiunto questo livello di CO2 e cosa comporta in termini ambientali?

I carotaggi antartici mostrano con chiarezza che l’anidride carbonica non ha mai superato le 280 parti per milione (ppm) nell’ultimo milione di anni, valore massimo raggiunto nei periodi interglaciali caldi che si sono alternati a quelli glaciali freddi. La CO2 è rimasta attorno alle 280 ppm anche nell’ultimo periodo interglaciale, quello che stiamo vivendo adesso e che si chiama Olocene (dal greco, periodo più recente), fino alla rivoluzione industriale quando ha iniziato a crescere, raggiungendo velocità senza precedenti (pari a circa 2 ppm/anno) negli ultimi 60 anni circa. Oggi i valori di CO2 hanno raggiunto e superato le 410 parti per milione. Il periodo a noi più prossimo in cui ritroviamo valori di questo tipo in atmosfera è il Pliocene, circa 3 milioni di anni fa, tempo in cui sulla Terra viveva l’Australopiteco. Noi siamo i primi del genere Homo a sperimentare un’atmosfera con valori di CO2 così elevati.

Sono le attività umane, oggi, le responsabili dell’emissione di grandi quantità di gas serra come CO2, metano (CH4) e ossido nitroso (N2O) il cui tempo di permanenza nell’atmosfera è abbastanza lungo da permetterne l’accumulo e quindi l’aumento esponenziale della concentrazione rispetto ai valori pre-industriali. L’aumento della concentrazione di CO2 è dovuto principalmente alla produzione di energia per combustione di fonti fossili (petrolio, gas naturale e carbone), ai trasporti, agli usi domestici e industriali. La deforestazione ad opera dell’uomo riduce l’assorbimento di CO2 da parte delle piante (pozzi naturali di questo gas) e, quindi, ne costituisce un’ulteriore causa di accumulo in atmosfera. L’aumento di CH4 è dovuto alle pratiche agricole e di allevamento, all’estrazione e distribuzione del gas naturale e alla gestione dei rifiuti; N2O viene emesso principalmente dai suoli agricoli e in seguito incendi forestali.

9. Nei dibattiti si fa spesso confusione fra “effetto serra” e il problema del buco nell’ozono. Sono due fenomeni in qualche modo correlati? In cosa consistono?

Sono due fenomeni diversi che non devono essere confusi. Vediamo in breve di cosa si tratta.

  • L’effetto serra è il meccanismo naturale grazie al quale la radiazione infrarossa (ovvero il calore) che la Terra emette dopo aver assorbito l’energia (principalmente radiazione visibile) in arrivo dal sole viene a sua volta assorbita da alcuni gas presenti in atmosfera, come vapore acqueo, anidride carbonica (CO2), metano (CH4), ossido nitroso (N2O) e altri, insieme ad alcuni tipi di nube, che poi la riemettono in tutte le direzioni, anche verso la superficie stessa con il risultato netto di scaldarla (e contemporaneamente raffreddare gli strati più alti dell’atmosfera). In assenza di questo meccanismo tutto il calore emesso dalla superficie andrebbe perso verso lo spazio e ciò darebbe luogo a una temperatura del nostro pianeta di -18°C, 33°C più bassa di quella media terrestre, pari a 15°C. Quindi l’effetto serra naturale è un meccanismo positivo che ha reso possibile la vita sulla Terra. Negli ultimi decenni si è assistito a un’amplificazione dell’effetto serra naturale, a causa dell’aumento della concentrazione di gas serra di origine antropica, un “effetto serra antropico”.
  • Il buco dell’ozono consiste nella distruzione delle molecole di ozono presenti nella stratosfera, ovvero negli strati alti dell’atmosfera, dove questa molecola gioca il ruolo fondamentale di schermare i raggi ultravioletti che provengono dal sole che possono avere effetti molto dannosi per le specie viventi. Le concentrazioni di ozono in questa porzione dell’atmosfera hanno una loro dinamica naturale, ma alla fine degli anni ‘80 del secolo scorso un gruppo di ricercatori scoprì che a circa 20 km di altezza sopra l’Antartide si era formato un buco nella fascia di ozono, ovvero una diminuzione molto consistente della concentrazione di ozono stratosferico, e che le molecole responsabili di questo erano i clorofluorocarburi (CFC), i gas propellenti contenuti nelle bombolette spray e usati come refrigeranti. Quando i CFC, gas molto stabili e poco reattivi nella parte più bassa dell’atmosfera dove vengono prodotti, venivano trasportati fino alla stratosfera, con l’arrivo della primavera australe la luce solare poteva scomporli e innescare reazioni chimiche di distruzione dell’ozono, molecola che si forma soprattutto nelle regioni equatoriali e poi trasportata dalla circolazione atmosferica fino alla latitudini polari dove si accumula. Il fenomeno del buco si era verificato soprattutto nella stratosfera antartica dove le condizioni per attivare i processi di distruzione dell’ozono sono più favorevoli. Temperature estremamente basse da favorire la formazione di nubi polari stratosferiche sulla superficie delle quali si verificano le reazioni di distruzione dell’ozono, presenza di un vortice polare invernale molto intenso capace di confinare l’aria gelida sopra il polo sud, presenza di clorofluorocarburi trasportati dalla circolazione generale atmosferica, e radiazione solare con l’arrivo della primavera.

Mi è capitato a volte di sentirmi chiedere se il buco dell’ozono potesse causare il riscaldamento globale visto che più radiazione solare passa attraverso il buco invece che venire schermata dall’ozono. La risposta è no, la frazione in più di radiazione ultravioletta non schermata in stratosfera non è causa dell’aumento delle temperature alla superficie, che è invece attribuibile all’amplificazione dell’effetto serra naturale. Si tratta di una piccola frazione dello spettro solare, mentre la parte importante per il riscaldamento della superficie terrestre è la radiazione visibile che viene poi assorbita dalla superficie terrestre. Tuttavia la dinamica del buco dell’ozono, in particolare la presenza dei forti venti che costituiscono il vortice polare e confinano l’aria fredda sopra il polo sud, può avere un impatto sul gradiente termico tra polo ed equatore e così facendo può determinare cambiamenti sulla circolazione atmosferica e anche sul clima.

10. Un effetto del riscaldamento globale di cui si sente parlare spesso è quello della “acidificazione degli oceani”. Di cosa si tratta e che conseguenze ha sugli ecosistemi e sulla vita?

L’aumento di anidride carbonica nell’atmosfera corrisponde anche a un incremento di quella disciolta nell’acqua marina. Anche se i mari e gli oceani, assorbendo più di un quarto della CO2 atmosferica, danno una grossa mano a contenere un po’ il riscaldamento, ciò ha portato negli ultimi decenni al gravissimo problema dell’acidificazione degli oceani. Si tratta della diminuzione del pH oceanico che comporta numerose conseguenze sugli ecosistemi marini e per i loro equilibri. A farne le spese maggiori sono tutti quegli organismi marini che possiedono un guscio calcareo (buona parte del plancton ad esempio) che con l’aumento dell’acidità dell’acqua potrebbero non essere più in grado di costruire quel guscio, poiché il calcare si scioglie in ambiente acido. Peccato che il plancton sia alla base di tutta la catena alimentare in mare…

L’acidificazione degli oceani ha conseguenze dirette anche sull’uomo in quanto diminuisce enormemente la quantità di pescato.

11. La soluzione proposta da Greta Thunberg di piantare alberi può funzionare?

Occorre anzitutto dire che non esiste una soluzione unica per contrastare l’emergenza climatica. Le foreste sono una parte della soluzione perché assorbono circa un terzo delle emissioni antropiche globali di CO2. Per non eliminare questi fondamentali pozzi per la CO2 occorre quindi, in primo luogo, ridurre la deforestazione (quella tropicale è responsabile di circa il 10% delle emissioni antropiche di gas serra a livello globale). In secondo luogo bisogna agire per preservare l’assorbimento di CO2 attraverso una gestione sostenibile delle foreste esistenti e, ove possibile, aumentare l’assorbimento della CO2 favorendo l’espansione delle foreste.

Certamente piantare alberi ovunque possibile (in terreni senza già altre destinazioni) sembrerebbe la soluzione ovvia al problema del riscaldamento globale, ma è necessario anche riconoscere che il sistema in cui ci muoviamo, il sistema climatico, ha delle dinamiche molto complesse. I modelli climatici di cui oggi disponiamo non sono in grado di simulare in modo affidabile come le foreste potranno resistere o rispondere alle condizioni climatiche che potrebbero verificarsi in futuro, a un clima con più eventi estremi, agli incendi, alle conseguenze della degradazione del permafrost, alla presenza di specie invasive e malattie. Quindi, certamente non è sbagliato pensare a piantare foreste, purché ciò sia fatto con cura e in modo sostenibile; ma ciò non deve diventare una scusa per rimandare il momento di abbandonare l’uso dei combustibili fossili.

12. Esistono strategie per ridurre le emissioni di CO2 o di stoccaggio della CO2? A che punto siamo?

Si discute spesso di promettenti soluzioni di geo-ingegneria per lo stoccaggio della CO2 ed è certamente qualche cosa su cui è sensato lavorare e investire. Io non sono esperta in materia e non mi sento di spendere parole su qualcosa che conosco molto poco se non per condividere un pensiero. Mi sembra ci siano ancora molte resistenze ad intraprendere un percorso efficace di riduzione delle emissioni di gas serra e di decarbonizzazione (e cioè di mitigazione) e che questa specie di inerzia porti alla tentazione di trovare altre strade per non andare alla vera radice del problema.

13. Si sente spesso parlare di iniziative “plastic-free”, cioè la sostituzione di bicchieri, cannucce, coperchi e contenitori in plastica con analoghi in materiale biodegradabile / biocompostabile. Qual è la sua posizione in merito?

Credo che ciò che si debba fare è produrre meno plastica, soprattutto quella usa e getta. Piattini e bicchieri, buste e cannucce monouso disperse nell’ambiente contribuiscono all’inquinamento e alle problematiche connesse (pensiamo alle microplastiche in mare) e anche al riscaldamento globale: uno studio recente condotto da ricercatori dell’Università delle Hawaii ha mostrato che la plastica, degradandosi, produce gas serra come il metano.

Oltre a ciò, ovviamente, bisogna evitare di gettare i rifiuti nell’ambiente, e mettere in piedi sistemi di raccolta, riciclo e recupero efficienti.

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