La mescolanza del sangue
A volte ritornano, anche quando non se ne sentiva la mancanza.
Non dirò qui che chi è tornato è “il razzismo”. Quello non se n’è mai andato né mai se ne andrà. Quello che però speravamo di esserci lasciati dietro è il cosiddetto “razzismo scientifico”.
Per farsi un’idea di cosa sia il razzismo scientifico, niente è meglio dell’esempio dei nazisti, quindi perdonatemela, non è reductio ad hitlerum, è semplicemente che il razzismo scientifico è proprio quello lì. Essenzialmente, il razzismo scientifico fonda le sue prescrizioni etiche, appunto, razziste, ovvero basate su un presunto ordine gerarchico naturale delle razze, o una necessità di tenerle segregate, su basi che vorrebbero essere scientifiche. Attenzione, definire queste teorie “razziste” non è neanche offensivo, è semplicemente una descrizione di ciò che dicono: sono teorie che pongono enfasi assoluta sulla razza, sia come entità biologica che come fondamento per un discorso etico-politico; dunque un –ismo della razza. Si può chiamarlo solo razzismo. L’assunto è che le razze sono biologicamente diverse, e dunque, secondo un percorso logico non del tutto limpido, dovrebbero subire trattamento diverso anche al livello sociale, per esempio segregazione. Nel caso del nazismo l’idea si basava su una storpiatura della teoria dell’evoluzione; si individuavano razze geneticamente superiori e geneticamente inferiori, e dunque si diceva occorresse che le prime dominino sulle seconde, e Dio non voglia mai che le razze si mescolino: si sporcherebbe il pedigree ariano con geni inferiori.
Questo non è certo il posto dove affrontare una discussione sul razzismo in senso lato; qui si parla di scienza. Ma le basi scientifiche che si invocano per giustificare il razzismo non sono esattamente solidissime, diciamo. Potremmo forse dire che sono un mucchio di idiozie. Anzi, diciamolo tranquillamente.
Tuttavia, il razzismo “scientifico” sta facendo sporgere la sua piccola inquietante testolina in rete. E questo non fa piacere, ma guardiamo il lato positivo: possiamo prendere alcuni dei suoi assunti più platealmente sbagliati e approfittarne per fare un ripasso di teoria dell’evoluzione!
In questo articolo vogliamo parlare di uno specifico equivoco scientifico molto comune che dà ampio spazio al pensiero razzista: si paventa l’orrore di un’umanità in cui, essendosi incrociate tutte le razze, siamo tutti diventati uguali e abbiamo perso la biodiversità umana, peccando contro la Santa Evoluzione che nella sua Provvidenza ha fatto le razze tutte diverse e ha reso sacrilego mescolarle (certo che inizia a somigliare tanto a un Dio, questa evoluzione).
Questa teoria è platealmente sbagliata dal punto di vista scientifico, ma può essere resa seducente dal fatto che sembra credibile che la mescolanza genetica possa appiattire la diversità. Dopotutto, da un padre nero e una mamma bianca uscirà un figlio marrone, no? Quindi se mescoliamo “neri” e “bianchi” e “gialli” e “rossi” immagino che dovremmo ottenere una specie di grigio smorto, e il grigio è così demodé… scacco matto, antirazzisti!
Ok, non funziona affatto così. Ma andando con ordine, prima di chiederci se sia vero che mescolare le razze fa perdere biodiversità, dobbiamo porci un’altra domanda: ma ci importa davvero così tanto, se perdiamo biodiversità?
E la risposta è “certo che sì!”
Precisiamo subito che il problema non è estetico, anche perché è piuttosto soggettivo trovare più “bello” un mondo diviso in razze piuttosto che uno in cui non esistono. La biodiversità della specie, ovvero il tasso di varietà e differenza fra individuo e individuo, è una risorsa preziosa per la specie stessa. Per fare un esempio che spieghi perché, mettiamo su un piccolo film di fantascienza catastrofico: in un laboratorio segreto in Corea del Nord un team di abili biologi di diabolico colore giallo ha messo a punto un’arma segreta, lo chiameremo il Virus dell’Apocalisse. Questo Virus è ingegnerizzato in modo tale da potersi spargere velocissimamente a macchia d’olio, resistendo a qualsiasi trattamento medico conosciuto e uccidendo tutti in pochi giorni. Beh, sapete com’è in questi film di fantascienza, il Virus più letale della storia umana di solito lo tengono su un tavolino traballante in una provetta di vetro mezza aperta senza nessuno che lo guardi in una stanza piena di gatti giocherelloni; la provetta cade a Terra è il Virus dà inizio all’Apocalisse. Noi possiamo contare solo sulle nostre difese biologiche naturali per difenderci da esso, e non abbiamo tempo di svilupparne di nuove perché il virus è molto rapido, dobbiamo dunque usare quelle che già abbiamo. Ma il virus non lo abbiamo mai visto prima, quindi non ne abbiamo… Quasi. Dico quasi perché per fortuna siamo sette miliardi e siamo molto “biodiversi”, dunque c’è qualcuno la fuori che ha nel suo DNA un gene particolare, che sembrava non servire a niente e in effetti prima non serviva a niente ma, guarda caso, rende resistenti al Virus dell’Apocalisse: l’umanità sopravvive grazie a questi pochi individui immuni al virus.
Ma se invece fossimo tutti incredibilmente simili, quasi gemelli? Per esempio, se ci fossimo accoppiati fra consanguinei per millenni? Non ci sarebbe nessuno lì fuori con quella variante rara, strana, forse perfino inutile, pronto a resistere al Virus, e la specie si estinguerebbe.
L’esempio fatto sulla specie umana è un po’ fantascientifico perché Deo gratias non abbiamo carenza di biodiversità come specie, ma diventa drammaticamente realistico se pensiamo alle piante che coltiviamo o agli animali che alleviamo, che invece sono tutti cresciuti e selezionati per avere specifiche caratteristiche e sono molto simili fra di loro, hanno poca biodiversità. Se spunta un nuovo virus o un nuovo insetto che li ammazza, muoiono tutti come mosche, un problema ben noto ad agricoltori e allevatori.
Quindi in linea generale diremo che la biodiversità umana è una cosa bella e ci piace mantenerla.
E qui arriva la parte divertente: ma accoppiarsi fra razze diverse davvero attenta alla biodiversità?
No. Semplicemente, no.
La base scientifica, o meglio antiscientifica, di questa ipotesi è la teoria dell’eredità della “mescolanza del sangue”. La teoria in questione è attraente perché sembra molto intuitiva, sembra confermata ovunque dai fatti ad un primo sguardo, e ti evita di studiarti bene come funziona la genetica per capire le cose un po’ meglio. Ci abbiamo creduto quasi tutti da bambini e molti purtroppo ci credono ancora da adulti. Questa teoria dell’eredità può formularsi più o meno come segue: la prole presenta tratti che sono una mescolanza, una “media” diciamo, di quelli dei genitori.
Carina, eh? Semplice semplice. Da un padre nero e una madre bianca nasce un figlio marroncino, da padre basso e madre alta un figlio di media statura, da un padre con gli occhi azzurri ed uno con gli occhi neri ne esce uno… boh… con gli occhi… blu scuro?
Ecco, vi accorgete che c’è qualcosina che non va? Non funziona affatto in questo modo. Perfino da due genitori con gli occhi neri possono nascere figli con gli occhi azzurri, perché l’allele azzurro è recessivo e dunque entrambi i genitori possono esserne portatori. Poi, non so voi, io conosco una famiglia in cui il padre è altissimo e la madre bassina; beh, i figli quanto a statura somigliano o all’uno o all’altra, non sono affatto una media dei due.
Ma vi dirò di più: se questa teoria dell’eredità funzionasse allora l’evoluzione darwiniana sarebbe impossibile.
Se non si capisce subito perché, torniamo al nostro esempio del Virus dell’Apocalisse. Ebbene il Virus si diffonde, ma al mondo c’è un individuo di nome Gianni che ha una rara variante genetica che lo rende immune al Virus. Anzi, diciamo che ce n’è qualche migliaio, giusto per rendere l’esempio più credibile, ma concentriamoci sul nostro Gianni.
La probabilità che Gianni sviluppi il Virus sono zero, è completamente immune. Secondo la teoria dell’evoluzione, questo fatto garantirebbe a Gianni e ai suoi figli un vantaggio evolutivo impareggiabile su tutti gli altri, per cui a breve Gianni e quelli come lui diventerebbero i capostipiti della nuova umanità.
Ma c’è un problema: la variante genica di Gianni, a parte proteggere dal Virus, non serve a niente, è diventata utile solo perché adesso c’è il Virus ma prima non aveva alcuna funzione, per questo è molto, molto rara. Qualcuno ce l’ha, ma è solo un caso.
Insomma, Gianni ha probabilità bassissime di trovarsi una partner che questa mutazione ce l’abbia anche lei. Si accoppierà quindi con una donna normale che, poverella, appena verrà in contatto col virus morirà.
Dunque, Gianni e la sua moglie geneticamente inferiore hanno dei figli. Questi figli hanno caratteristiche “medie” fra i loro genitori (mescolanza del sangue), ovvero hanno ciascuno il 50% di probabilità di sviluppare il Virus. Beh, non è come lo 0% del padre, ma è comunque un vantaggio rispetto alla madre che ne aveva il 100%, no? Sopravvivranno comunque più degli altri.
Problema: se questi figli si accoppieranno con altri partner normali, i loro figli, nipoti di Gianni, avranno stavolta solo il 25% di probabilità di sopravvivere al Virus. Ok, è ancora un vantaggio notevole… ma il punto è che non hanno nessun modo per conservarlo: alla prossima generazione diventerà il 12.5%, e poi scenderà ancora di generazione in generazione. Magari, una volta capito l’andazzo, i figli di Gianni potrebbero pensare di accoppiarsi soltanto fra di loro (bleah) per evitare di “diluire” il proprio sangue, ma anche così riuscirebbero al massimo a mantenere quel tasso di immunità che già hanno, ma non potrebbero mai espanderlo tornando ai fasti delle generazioni precedenti, figurarsi farlo diventare un tratto dominante della specie umana.
Insomma, se comparisse una nuova variante genetica vantaggiosa, fosse anche una variante che ti fa diventare Superman, e fosse vera l’ipotesi della mescolanza del sangue, in capo a poche generazioni la variante sarebbe diluita e scomparsa nel nulla e mai potrebbe diventare prevalente in popolazione. Vi ricordate l’evoluzione? Quella roba che le mutazioni casuali vantaggiose si accumulano lentamente e portano alla speciazione? Ecco, fatele ‘ciao’ con la manina, perché se l’eredità funziona così è impossibile.
No, l’eredità non funziona affatto così, eccetto per alcuni tratti poligenici il cui meccanismo di eredità è particolarmente complesso e poco chiaro. Il colore della pelle è uno di questi, per cui in certi casi pare rispondere alla teoria della mescolanza del sangue, ma sappiamo bene che sotto la superficie i geni non funzionano in quel modo. Quale che sia il macchinario genetico dietro a questi tratti, non cambia il meccanismo ereditario: le varianti genetiche non vengono “diluite” nell’accoppiamento, vengono passate alle generazioni successive in una forma ricombinata, rimescolata se vogliamo… Ma sono sempre lì, più o meno come quando si mescola un mazzo di carte e le si ridistribuisce: cambia la mano, ma non scompaiono le carte.
Ma se è così, allora perché ci sono le razze?
È discutibile proprio l’idea che ci siano razze, ma ammettiamo pure che esistano dei sottogruppi umani con caratteristiche molto specializzate. In Europa abbiamo per lo più la pelle chiara, in Africa per lo più scura. Se abbiamo capito la teoria dell’evoluzione, ci siamo accorti che sul meccanismo dell’eredità agisce la selezione naturale. Le varianti genetiche non si diffondono o scompaiono per diluizione e concentrazione, ma dominano o scompaiono perché aumentano la fitness dell’individuo oppure la diminuiscono, i.e. sono utili o meno. Possiamo avere tutta la biodiversità che vogliamo, ma se agisce una pressione selettiva specifica essa farà pendere la bilancia da un lato ben preciso. La diversità genetica umana che osserviamo oggi è frutto dell’adattamento della specie umana ad una miriade di habitat diversi, dai poli all’equatore. Se perdiamo questi adattamenti specifici, non abbiamo forse perso qualcosa di utile?
Repetita iuvant: non perdiamo tratti con l’accoppiamento, sono conservati nel pool genico, e in caso di necessità la selezione naturale li farà riemergere subito. Il cosiddetto “meticciato” semmai aumenta la biodiversità della specie, perché redistribuisce le carte creando nuove combinazioni potenzialmente utili. Oltre a ciò, è sempre bene ricordare che la misura di quanto un certo tratto è “adatto” ad un ambiente dipende, ça va sans dire, dall’ambiente, e al giorno d’oggi il nostro habitat naturale è… beh… il Mondo intero.
Mi viene in mente una barzelletta: Dio offre ad un nero (uomo di colore, dai) la possibilità di fargli delle domande. L’uomo gli fa “Signore, Signore, perché mi hai fatto la pelle così scura?” Dio risponde: “per resistere al cocente sole dell’Africa!”; l’uomo: “Signore, Signore, ma perché mi hai fatto le gambe così lunghe?”; “Per poter correre meglio nella grande savana!”; “Signore, Signore, ma perché mi hai fatto le braccia così lunghe?”; “Per poterti arrampicare meglio sugli alberi e sfuggire ai predatori!”; “Va bene, Signore, va bene… Ma allora mi spieghi perché mi hai fatto nascere a New York?!”
Ecco, non è che adattamenti specializzati ad ambienti e sfide ben specifici, come quelli che incontravamo decine di migliaia di anni fa, svolgano necessariamente ancora un ruolo nelle sfide dell’ambiente di oggi. Se gli specifici raggruppamenti umani che facciamo oggi dovessero svanire non ci sarebbe ragione di farne un dramma, evidentemente non servivano più, e se dovessero tornare a servire, ehi, sono ancora tutti lì nel nostro pool genico e torneranno di moda in qualche generazione. L’evoluzione continua ad agire e, questo i nazisti non l’avevano proprio capito, non ha alcun bisogno che noi le facciamo da angeli custodi per dirle cosa deve o non deve fare.
[Alberto Ferrari – Comitato Scientifico Pro-Test Italia]