Considerazioni sul numero di animali utilizzati per la ricerca in Italia

Il 13 Marzo 2018, sono stati pubblicati in Gazzetta Ufficiale, Serie Generale, n.60, i dati statistici, relativi al nostro Paese, sugli animali utilizzati a fini scientifici nel 2016. Vi è stata subito una presa di posizione del mondo animalista che sottolineava l’aumento nell’utilizzo di animali rispetto all’anno precedente (2015). Questo incremento è stato commentato sul sito del Ministero della Salute in questo modo:

“Nell’anno 2016 il numero totale degli animali utilizzati per la sperimentazione supera di poco le 600.000 unità, attestandosi a 607.097 esemplari, facendo registrare un decremento rispetto al 2014 del 12,23% (691,666 unità) e un lieve aumento rispetto al 2015 con un +4,32% (581.935 unità) dovuto all’impiego nell’ambito regolatorio, ovvero per le attività scientifiche obbligatorie e disciplinate da altra normativa, come ad esempio la verifica della tossicità e sicurezza di vaccini e farmaci. In questo ambito la crescita è stata dell’11,66% mentre resta in calo il numero degli animali nei progetti finalizzati alla ricerca di base e alla ricerca applicata, ovvero quegli studi che verificano la possibilità di trasformare le scoperte scientifiche in applicazioni, con una diminuzione rispettivamente del 6,24% e del 5,23% rispetto al 2014.” [1].

Si è quindi registrato un leggero aumento nel 2016 per poter soddisfare la normativa sui test che rendono vaccini e farmaci più sicuri, garantendo dunque la salute pubblica e, contemporaneamente, si è ridotto il numero di animali rispetto al 2014.
Partendo dagli ultimi dati pubblicati, vale la pena raccontare la storia di come questo numero sia cambiato negli anni e di come ci sia stata, sia dal punto di vista sia scientifico che legislativo, una forte volontà di ridurlo il più possibile, cercando di mantenere comunque alto il livello della ricerca italiana e della sicurezza dei pazienti, dei cittadini e dei lavoratori.
Innanzitutto è d’obbligo una premessa: i dati statistici relativi alla sperimentazione animale sono pubblicati, a partire dal 2014, secondo la direttiva europea 2010/63/UE, che ha uniformato il sistema di conteggio degli animali a livello dell’europeo. Prima del 2014 è quindi difficile confrontare i dati tra i vari Paesi, che utilizzavano sistemi di conteggio differenti.
Un’altra premessa da fare è che i dati forniti riguardano gli animali utilizzati in tutte le procedure, da quelle più lievi a quelle più gravi. In Italia, ad esempio, gli animali sottoposti a procedure classificate come lievi (dove per “lieve” si intende il dolore causato da un’iniezione o meno) sono il 49%. Secondo la direttiva sopra citata non esiste una procedura che non infligga alcun tipo di dolore; dunque anche gli esperimenti comportamentali sono classificati come dolore lieve. Ovviamente la gravità del dolore considerata è la maggiore subita dall’animale per tutta la durata dell’esperimento.
In Italia, prima del recepimento della direttiva europea 2010/63/UE, la numerosità degli animali veniva pubblicata ogni tre anni in Gazzetta Ufficiale e, benché fossero raggruppati in maniera diversa, venivano conteggiate le stesse specie animali di oggi. Nel triennio dal 2007 al 2009 si è passati da 908.002 animali a 830.453 (diminuzione del 9%), nel triennio successivo,dal 2010 al 2012, la numerosità è rimasta abbastanza stabile passando da 777.731 unità a 768.796, con un calo quindi del solo 2% nel triennio, ma dell’8% rispetto al 2009.
Nel 2013 gli animali scendono a 723.739 (meno 7% rispetto all’anno precedente) e nel 2014 si abbatte il muro delle settecentomila unità, diminuendo la numerosità di un ulteriore 5% e fermandosi a 691.666 animali.
L’anno successivo, il 2015, si registra una diminuzione record del 16%: in un singolo anno ci si ferma sotto la soglia delle 600.000 unità attestandosi a 581.935 animali utilizzarti.
È in questo contesto di costante diminuzione che si è registrata la lieve inversione del trend nel 2016, con l’aumento a 607.097 unità. Un leggero incremento a seguito di un taglio drastico effettuato l’anno precedente ed a fronte di una diminuzione costante che ha portato, in 9 anni, dall’utilizzo di oltre 900.000 animali a poco più di 600.000 (meno 33%), senza dover rinunciare al progresso scientifico.

Arrivati a questo punto è lecito porsi una serie di interrogativi: 600.000 animali sono tanti? Sono pochi? Quanti ne vengono utilizzati in Europa? Gli alti Paesi hanno diminuito il numero di animali utilizzati?
Come già accennato, è difficile comparare i dati precedenti al 2014 tra i diversi Stati e non esiste ancora un unico documento redatto dal Parlamento Europeo che faccia il punto sulla situazione dei Paesi dell’Unione: per il primo è prevista la pubblicazione l’anno prossimo (2019) e non è ancora chiaro come saranno gestiti i dati dell’Inghilterra dopo la Brexit.
Proprio il Paese di Sua Maestà è uno dei maggiori utilizzatori di animali con 2.022.683 unità nel 2014, 2.079.970 nel 2015 e 1.925.583 nel 2016, registrando una diminuzione del 5% nel triennio.
Il Paese che invece utilizza più animali è senza dubbio la Germania con 2.796.773 unità nel 2016. Anche i tedeschi, come nel caso dell’Italia, hanno registrato un aumento rispetto al 2015, in cui gli animali erano 2.753.051 (+2%), ma una diminuzione significativa rispetto al 2014, quando gli animali erano il 16% in più, vale a dire 3.314.098 unità.
Va invece segnalato come la Francia sia in controtendenza continuando ad aumentare il numero di animali utilizzati: 1.769.618 nel 2014; 1.901.752 nel 2015 e 1.918.481 nel 2016, registrando un aumento complessivo dell’8% nel triennio. Aumento costante nello stesso periodo anche per la Spagna, che passa da 821.570 a 896.946 per poi raggiungere le 917.986 unità, incrementando il numero dell’11%. Bisogna però notare che in entrambi i Paesi vi era stata una diminuzione significativa negli anni precedenti, difatti la Francia nel 2010 utilizzava 2.200.152 animali e la Spagna nel 2009 ne usava 1.403.290.
Un altro Paese dove la ricerca scientifica ha una grande importanza è certamente l’Olanda, che comunque ha diminuito le unità del 20% nel triennio dal 2014 al 2016 passando da 563.769 unità a 403.370.
Negli altri Paesi europei, invece, il numero di animali è sensibilmente inferiore. Ad esempio in Svezia gli animali utilizzati nel 2016 sono stati 350.644, in Finlandia 274.163, in Irlanda 226.934, in Grecia 43.371, in Croazia 21.900 e, infine, Malta non ne ha utilizzati.

L’interpretazione di questi numeri diventa interessante se rapportata con la popolazione dei Paesi presi in esame. È intuitivo, infatti, che un Paese più densamente abitato possa avere un numero maggiore di personale dedicato alla ricerca e, di conseguenza, maggiori strutture. Seguendo questo approccio si nota subito che i Paesi del nord Europa hanno il maggior rapporto animali/popolazione: per la Finlandia 0.050, per l’Irlanda 0.048 e per la Svezia 0.035. Seguono Germania (0.034), Inghilterra (0.030) e Francia (0.029). Più sotto si attestano Olanda e Spagna con rispettivamente 0.023 e 0.020, seguiti da Italia 0.010 e Grecia 0.004. Questo dato riflette molto quanto la ricerca sia diffusa in un Paese e quanto questo investa in essa, sia dal punto di vista della formazione che del punto di vista economico.

Naturalmente questi dati non sono completi: ad esempio la Romania ha consegnato i dati solo fino al 2015 (19.632 unità), mentre il Portogallo è fermo addirittura al 2014 (25.606 unità).
Incomparabile invece è la situazione negli Stati Uniti d’America, che dichiarano 820.812 animali utilizzati nel 2016 [2], ma escludendo dal conteggio topi, ratti, pesci e uccelli, ovvero gli animali più utilizzati in ricerca, e di cui, di conseguenza, non si conosce il numero.
Seguendo questo tipo di approccio la Germania, nello stesso anno, ha utilizzato 164.669 animali, l’Inghilterra 92.832, la Francia 222.574, l’Italia 34.878 e l’Olanda 30.677. Bisogna anche considerare che le leggi che regolano l’utilizzo degli animali per fini scientifici in America sono meno rigide di quelle europee, dunque il numero di topi, ratti, pesci e uccelli potrebbe essere superiore rispetto a quanto si potrebbe desumere dalle percentuali europee.
In conclusione, l’Italia si conferma un Paese dove la ricerca, per quanto poco sovvenzionata, risulta ancora molto attiva ed efficiente, soprattutto grazie ai fondi europei. Il numero degli animali sacrificati per tali ricerche è molto diminuito, mentre il welfare degli stessi aumentato e le famose tre R (replace, refine, reduce) sono sempre più applicate. È interessante notare come, in questo senso, l’Italia si ponga accanto all’Olanda, come “via di mezzo” in Europa: dietro Germania, Francia e Spagna (considerando a sé l’Inghilterra), ma davanti a tutti gli altri. Non è stato casuale che il ballottaggio per l’assegnazione dell’EMA abbia riguardato proprio questi due Paesi.

Davide Olivari,
Comitato Scientifico Pro-Test Italia

NOTE:

NB: tutti i dati presenti in questo articolo (salvo se indicato differentemente) sono reperibili sul sito http://ec.europa.eu/environment/chemicals/lab_animals/member_states_stats_reports_en.htm che a sua volta rimanda ai vari siti istituzionali dei Paesi membri dell’Unione Europea.

[1]: http://www.salute.gov.it/portale/news/p3_2_1_1_1.jsp?lingua=italiano&menu=notizie&p=dalministero&id=3318

[2]: https://speakingofresearch.files.wordpress.com/2008/03/usda-annual-report-animal-usage-in-research-2016.pdf

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