Farsi un’idea: il consenso scientifico
La scienza è complicata. Anzi, diciamola tutta, oggidì qualsiasi campo del sapere è complicato. Ciò è risaputo, ma penso che spesso non si abbia l’idea piena di quanto il sapere, specialmente scientifico, sia complicato: basti dire, ad esempio, che quando noi parliamo di un esperto in fisica, o di un esperto in biologia, noi non intendiamo affatto che essi siano davvero esperti nella totalità della fisica o della biologia, bensì generalmente che sono esperti soltanto di un minuscolo sottoproblema di una sottodisciplina della fisica o della biologia. L’esperto che sappia tutto della biologia non esiste, come non esiste l’esperto che sappia tutto della fisica. Semplicemente, ormai lo scibile umano è talmente vasto che l’expertise non può mai abbracciarlo tutto.
Dunque come ci si fa un’idea su un argomento che non si è studiato nei minimi dettagli? O come ci si fa un’idea di un argomento troppo vasto perché qualunque essere umano possa studiarlo tutto nei minimi dettagli? Ovviamente non si può diventare esperti di qualsiasi argomento. Ci si dovrebbe fidare degli esperti, e di fonti sicure.
Un esperto? Purtroppo anche lui può sbagliare. Peter Duesberg è (stato) un virologo eccellente, eppure è un negazionista dell’HIV. Montagnier è premio Nobel per la fisica, e crede all’omeopatia. Non mi fiderei di simili esperti, tanto più che essi sono casi estremi di esperti che iniziano a dire sciocchezze, ma esistono anche un sacco di non esperti senza alcuna qualifica scientifica, e con curriculum che vanno dallo scadente all’ordinario, che si fanno efficacemente passare per esperti ad occhi non allenati. No, non ci possiamo fidare di un singolo esperto, specie visto che è così difficile riconoscerlo ed è comunque solo una persona, come tale fallibile.
Fonti sicure, allora? Già meglio, ma qual è una fonte sicura? La peer review è uno strumento assai meno potente di quanto si immagini nel selezionare la qualità. Vero è che difficilmente la scoperta del secolo non supera la peer review, ma vero è anche che tantissime porcherie vengono ormai pubblicate su riviste che si vantano di essere soggette a revisione paritaria e invece pubblicano articoli a pagamento o ideologicamente orientati. Un caso celebre di peer review fallimentare fu quello, oggi risolto, della rivista Biogenic Amines, che per un certo periodo ebbe nell’editorial board il ricercatore dichiaratamente animalista Claude Reiss, il quale sfruttò la sua posizione per far pubblicare una serie di articoli contro la sperimentazione animale senza sottoporli ad una revisione paritaria imparziale. La rivista rimosse Reiss dall’incarico, ma finché egli vi lavorò essa divenne, sia pur col suo impact factor piuttosto ridotto, una rivista ideale per pubblicare ricerche di scarsa qualità sotto lo scudo sacro della peer review (ricerche che tutt’ora molte fonti contro la sperimentazione animale citano come fonti).
Quindi non c’è niente da fare? Non ci possiamo fidare di nessuno?
Non ci possiamo fidare ciecamente di niente e nessuno. Vi invito a non fidarvi ciecamente neanche di me, infatti. Ma attenzione a non cadere in una delle peggiori trappole tese dal pensiero antiscientifico e pseudoscientifico: pensare che solo perché la certezza e la fiducia assolute non esistono, questo sia un buon motivo per affidarsi invece alla ciarlataneria.
Non possiamo essere esperti di tutto, dunque dobbiamo fidarci di qualcosa o qualcuno di esterno. Tutti dobbiamo. Non possiamo fidarci di un ciarlatano, chiaro. Non possiamo fidarci del tutto neanche di un esperto, visto che perfetti ignoranti possono sembrare esperti, e visto che anche gli esperti veri sbagliano. E ovviamente non possiamo fare come fanno gli anti-SA, che si scelgono arbitrariamente quei pochissimi “esperti” (che poi tanto esperti non sono) che la pensano come loro; anche perché è facile vedere la fallacia in questo ragionamento: se io ho l’abilità necessaria per decidere quali sono gli esperti e quali no, vuol dire che io sono in condizione di giudicare l’expertise altrui, e quindi che io stesso sono un esperto. Dunque è ovvio per definizione che non sia possibile per un inesperto “scegliere” quali siano gli esperti di cui fidarsi.
Ma possiamo fidarci di due esperti a caso? Di dieci esperti? Di cento esperti? È abbastanza ovvio che più aumenta il numero degli esperti a caso che sono concordi, più è difficile che effettivamente si sbaglino.
Quindi in realtà la risposta è semplice: per farci un’idea dobbiamo fidarci del consenso scientifico, ovvero, laddove esista, del parere solido e documentato della maggioranza degli esperti.
Non per nulla, quando leggo i pochi articoli che i nostri oppositori dedicano alla questione del consenso scientifico, vedo che questi aprono sempre mettendo le mani avanti: “guardate che gli esperti possono sbagliarsi”, dicono per cominciare, cercando dunque di sminuire un consenso scientifico che sanno bene essere contro di loro; salvo poi impegnarsi per cercare di convincerci che gli esperti, tutto sommato, sono dalla loro parte: sarà mica che, tutto sommato, lo sanno benissimo che la posizione degli esperti è una faccenda della massima importanza?
Sia subito chiaro che sbagliano su tutta la linea, il consenso scientifico è contro di loro e ciò non è un dettaglio, bensì un dato importantissimo.
Personalmente, da una prospettiva filosofica abbastanza idealista, non credo che il consenso scientifico possa tecnicamente “sbagliarsi”. Ma sono disposto ad ammettere che invece possa, tanto in senso pragmatico non fa differenza: il fatto che la maggioranza dei fisici possa teoricamente sbagliarsi sulla fisica quantistica non autorizza me, che di fisica quantistica non capisco niente, a sparare giudizi sulla validità di ciò che dicono dal basso della mia ignoranza, magari scegliendomi ad arte tre o quattro fisici “dissidenti” che invece la pensano come me per trarne le conferme che desidero.
Se pure ammettiamo che il consenso della maggioranza schiacciante degli esperti sia fallibile rispetto ad un’astrattissima nozione di “verità in sé”, ciò non cambia il fatto che esso sia la cosa di cui ci possiamo fidare di più in assoluto. Quindi, a meno che non siamo esperti di tutto, e nessuno al mondo lo è, noi utilizziamo l’unico metodo ragionevole che abbiamo per farci un’idea delle cose di cui non siamo esperti: ascoltare la maggioranza di quelli che lo sono.
Dunque, malgrado quello che cercano di farci passare certi disinformatori di professione, capire cosa dice la maggioranza degli scienziati riguardo alla sperimentazione animale (che è appunto uno di quei problemi così vasti che nessuno, me stesso incluso, può dirsene esperto in ogni aspetto) non solo è un problema importante, ma è forse il più importante di tutti quelli che noi di Pro-Test Italia abbiamo mai trattato; si tratta della questione dirimente.
Per questa ragione qui faremo una breve panoramica sui più importanti sondaggi di opinione sul tema della sperimentazione animale svolti all’interno della comunità dei ricercatori, sui risultati evidenti da essi, sulle critiche che inevitabilmente ricevono dagli integralisti animalisti, e infine anche sui dati che questi ultimi portano per tirare acqua al proprio mulino.
Per cominciare c’è il famoso sondaggio di Nature. Gli autori hanno reclutato un campione di quasi mille ricercatori inviando la richiesta di partecipazione, via mail, agli abbonati alla rivista, insieme alla promessa di un piccolo premio per incentivare la partecipazione.
Alla richiesta di esprimere un livello di accordo con la frase “la sperimentazione animale è indispensabile all’avanzamento della scienza biomedica” si ottiene un risultato schiacciante: il 92% degli intervistati risulta convinto che la sperimentazione animale sia necessaria, un 5% è indeciso, solo un 3% pensa che sia rinunciabile.
Il risultato è chiaro e univoco. Ed è peraltro di importanza capitale. Non sorprende dunque che sia stato aggredito a più riprese dai nostri oppositori, seppur senza grande successo … Passiamo dunque a esaminare le critiche con cui si cerca di sminuire l’importanza del risultato:
- “Non è un sondaggio scientifico.”
Il trucco qui consiste nel delineare, piuttosto arbitrariamente, una specie di “linea della verità” che separi lo scientifico dal non scientifico. Tutto ciò che è da un lato è scienza, e il resto è fuffa.
Ma una via di mezzo no? Eppure in realtà la perfezione scientifica è più che altro un ideale astratto, non esiste la scientificità perfetta. Quello che bisogna fare non è scartare a priori interi gruppi di dati perché non aderenti ad un ideale astratto di perfezione scientifica, ma contestualizzarli e vedere cosa se ne può ricavare con accettabile certezza. Se io intervistassi un campione random di mille abitanti della mia città, potrei sicuramente trarne conclusioni rilevanti. Ovviamente ci sarebbero dei limiti alle inferenze che potrei trarre da un campione geograficamente così limitato, ma da qui a liquidare completamente il risultato suggerendo che non significhi niente ce ne passa. Sicuramente significa qualcosa, almeno sulla mia città.
Non si tratta di discutere se si possano trarre inferenze da questo sondaggio, ovviamente, ma quali inferenze siano legittime, e quali siano quelle che ci interessano. A noi non interessa sapere esattamente quanti siano gli scienziati al mondo a favore della sperimentazione animale, ma solo che ci sia indicato se siano o meno la maggioranza, e magari di quanto, a grandi linee.
È indubbiamente vero che il sondaggio in questione sia piuttosto informale, che non è stato analizzato in profondità con gli strumenti della statistica inferenziale, che non è stata fatta un’analisi del potere statistico eccetera.
Ma da qui a dire che questo dato lo buttiamo nel water e tiriamo lo sciacquone ce ne passa; al massimo lo analizzeremo con un minimo di cautela. Un campione di quasi un migliaio è altamente significativo statisticamente, e la differenza osservata fra i due gruppi, favorevoli e contrari alla SA, è semplicemente enorme.
Possiamo dire che esattamente il 3,2% degli scienziati sono contrari alla sperimentazione animale, sulla base di questo sondaggio?
No, questo no.
Ma che quel numero sia molto più basso del 50% lo possiamo dire.
- “Il sondaggio riporta una scala di Likert, ovvero in cui ci possono esprimere vari livelli di accordo. Dunque non tutti quelli che si dicono d’accordo sono ‘fortemente d’accordo’.”
Vero, la scala di Likert in questione prevede che ad un’affermazione del sondaggista l’intervistato possa rispondere “sono fortemente d’accordo”, “sono d’accordo”, “neutro”, “sono in disaccordo”, “sono fortemente in disaccordo”. Il 92% di favorevoli accorpa tutti coloro che sono d’accordo con “la sperimentazione animale è indispensabile al progresso della scienza medica”, siano essi debolmente d’accordo o fortemente d’accordo. Ma questa è un’obiezione particolarmente stupida rispetto al risultato: neanche quelli che dicono di essere contrari sono tutti ‘fortemente in disaccordo’; per la precisione solo lo 0,7% è fortemente in disaccordo. Dunque se mettiamo a confronto i soli ‘fortemente d’accordo’ e i soli ‘fortemente in disaccordo’ la sproporzione rimane pressoché identica e ugualmente terrificante. E resta enorme perfino se scegliamo di confrontare tutti quelli in disaccordo (senza tener conto di quanto) con i soli che sono fortemente d’accordo.
- “La maggior parte dei partecipanti al sondaggio (70,3%) praticano sperimentazione animale”.
Questa è una fallacia logica chiamata avvelenamento del pozzo: si cerca di screditare l’opinione di qualcuno affermando che avrebbe qualche misterioso interesse a mentire. Questo discorso potrebbe avere limitata validità se parlassimo di una sola persona o poche persone d’accordo fra loro, ma diventa paradossale se parliamo di centinaia di sconosciuti selezionati a caso. Coloro che praticano sperimentazione animale sono ovviamente i più esperti sul tema, sarebbe assurdo pensare di tenerli fuori dal campione degli esperti. La loro è invece la testimonianza più importante di tutte.
Inoltre, il conflitto di interessi è immaginario: nessuno ha obbligato i ricercatori a lavorare (anche) sugli animali, lo abbiamo scelto da noi seguendo l’evidenza scientifica, e lavorare sugli animali non è più redditizio che lavorare su cellule o chip.
Infine, se anche volessimo ascoltare le critiche e rimuovere dal campione tutti coloro che hanno dichiarato di far ricerca su animali, la percentuale dei contrari passerebbe al massimo dal 3 all’ 11%. Siamo ancora molto lontani dal 50%.
- “Il campione è auto-selezionato”
Questa obiezione è la più insidiosa, anche se egualmente sbagliata.
In ogni sondaggio, il sondaggista deve affrontare il problema dell’autoselezione. Ovvero, sì, io pongo la domanda ad un determinato campione, per esempio, se sto facendo un sondaggio TV, a tutti quelli che mi stanno guardando. Ma non tutti quelli a cui è stata posta la domanda risponderanno, e questo potrebbe essere un bias: per esempio, potrebbero rispondere solo i più estremisti perché gli altri non sono altrettanto interessati all’argomento, ma questo non significherà che gli estremisti siano effettivamente la maggioranza.
Questa critica ha un senso, ma va presa cum grano salis. Con una response rate bassa (ovvero un numero di rispondenti molto minore del numero di intervistati), il rischio che ci stia sfuggendo qualche variabile legata all’autoselezione aumenta; ma parliamo comunque di un rischio piuttosto astratto e non direzionale. Quello che abbiamo resta un risultato, ricordiamolo, con una disparità sconcertante, e su un campione numericamente consistente. Per rovesciare un risultato così netto bisogna immaginare un bias enorme. Un piccolo bias di autoselezione in un senso o nell’altro è immaginabile e perfino plausibile… ma è sufficiente a pensare che dal 3%, su un campione di così grosso, possa saltare al 50%, rovesciando completamente la situazione?
Sul bias di autoselezione molto è stato scritto, e sono state formulate una serie di strategie per affrontare il problema; ma prima di mettere in atto faticose e costose strategie per risolvere il bias di autoselezione, ci si chieda un momento se un simile bias, nel caso in esame, ha ragione di esistere. Non mancano casi in cui si è verificato che un aumento della response rate di decine di punti percentuali non ha avuto nessuna influenza sull’esito del sondaggio. Dopotutto, nel nostro caso perché mai il campione auto-selezionato dovrebbe essere tanto sbilanciato a favore della sperimentazione animale? Nella mail di reclutamento si parlava di un sondaggio sul tema sperimentazione animale e animalismo; mi aspetterei magari un’autoselezione degli estremi (a favore o contro), ma non in una specifica direzione. Anzi, mi attenderei che gli “scienziati antivivisezionisti”, rumorosi come sono, partecipassero ad un sondaggio sull’argomento molto più attivamente degli altri, non il contrario. Peraltro, ricordiamolo, gli unici che potrebbero forse avere un interesse a difendere la sperimentazione animale anche se “non funziona” potrebbero essere quel 70,3% di rispondenti che la praticano, e, come abbiamo detto prima, se anche li rimuovessimo completamente dal campione i favorevoli alla sperimentazione animale restebbero maggioranza schiacciante.
Insomma, non sembra affatto che ci sia ragione di pensare ad un bias di autoselezione in favore della SA, men che meno uno così grosso da causare uno sbilanciamento enorme in un campione enorme.
Ma ammettiamo pure che ci sia un enorme problema di autoselezione; insomma, per qualche ragione gli scienziati contrari alla sperimentazione animale, che sarebbero nella nostra fantasiosa ipotesi quasi il 50% o più, quasi tutti se leggono una mail in cui gli è chiesta un’opinione sull’argomento la cestinano. Improbabile, ma ok, consideriamo la possibilità. Decidiamo dunque che il sondaggio di Nature ci piace poco.
Niente paura: fortunatamente è stato fatto anche un sondaggio analogo da parte di professionisti del PEW Research Center.
Vi do il link, ma penso che un po’ tutti sappiamo quali saranno i risultati, compresi i disonesti che cercano a tutti i costi di negare questi numeri: l’89% degli scienziati sono favorevoli alla SA. Qui il sondaggio è fatto a regola d’arte; l’unica possibile critica è che non seleziona solo i ricercatori in ambito biologico, e dunque racchiude un certo numero di non-competenti (il sondaggio ne riporta il numero esatto, verificherete rapidamente che sono una minoranza e che se li si rimuove la situazione non cambia sostanzialmente). Ai miei occhi questo spiega come mai la percentuale di favorevoli risulti leggermente più bassa che nel sondaggio su Nature, ma in ogni caso si tratta di variazioni minime. Uno sguardo più completo a tutti i dati riportati dal Pew Research Center rivelerà che i numeri in effetti sono straordinariamente somiglianti a quelli del sondaggio di Nature. Non che ci attendessimo qualcosa di diverso.
A questo punto, dovremmo aver messo una pietra tombale sulla questione del consenso scientifico: è con margini enormi a favore della sperimentazione animale. Ma c’è un ultima questione da trattare.
Esiste in effetti uno e un solo sondaggio di opinione che i nostri oppositori citano quando sono messi alle strette, e che sembra loro favorevole. Si tratta di un sondaggio commissionato dall’associazione contro la sperimentazione animale European for Medical Progress (EMP) alla compagnia TNS Healthcare, che si occupa di sondaggi di opinione. La compagnia ha domandato a un campione di medici nel Regno Unito se essi avessero delle preoccupazioni riguardo alla traducibilità dei dati ottenuti su animali nella pratica clinica. Il risultato di cui gli anti-SA si beano è che un 82% degli intervistati ha risposto sì.
In realtà, hanno ben poco da gioire. Prendiamo un sondaggio analogo, svolto da GP net nel 2006: su una domanda praticamente identica, si è ottenuto un risultato ancora più schiacciante di quello riportato da EMP e dalla sua sorella americana, Americans for Medical Advancement (AFMA). Il 93% dei medici sono d’accordo con l’affermazione “i risultati della ricerca su animali possono portare fuori strada”.
Contate anche me, sarei stato d’accordo anche io.
Ma sarei stato d’accordo anche con le affermazioni “la sperimentazione animale ha dato importanti contributi a molti progressi della scienza medica” e “i nuovi farmaci dovrebbero essere testati su animali”; infatti rispettivamente il 96% e l’88% degli intervistati hanno risposto così. Che non si possa fare affidamento cieco e totale sui risultati ottenuti su animali è un’ovvietà, ma altrettanto ovvio è che non per questo i test su animali sono da cestinare. Io avrei risposto esattamente come quei medici. Ma non contatemi come “antivivisezionista” o giuro che sporgo querela.
Questi dati non vi bastano a farvi un’idea piuttosto precisa sulla verità dei fatti?
Diciamo che non vi fidate perché pensate che io sia brutto e cattivo.
Ebbene, forse vi farà cambiare idea sapere che quando le succitate EMP e AFMA utilizzarono il sondaggio per dichiarare che quei dati dimostravano come la maggioranza dei medici avessero paura della sperimentazione animale[1], la TNS healthcare stessa si scomodò per smarcarsi da quella conclusione assurda, chiarendo, per chi ne avesse bisogno, che una simile interpretazione non poteva essere tratta dai suoi dati:
“The conclusions drawn from this research by AFMA are wholly unsupported by TNS and any research findings or comment published by AFMA is not TNS approved. TNS did not provide any interpretation of the data to the client. TNS did not give permission to the client to publish our data. The data does not support the interpretation made by the client (which in our opinion exaggerates anything that may be found from the data)[2]”
Ovvero, per chi non sa l’Inglese (e purtroppo molto spesso chi lo cita non lo sa):
“Le conclusioni tratte da questa ricerca da AFMA non sono affatto supportate da TNS e qualsiasi scoperta o commento pubblicato da AFMA non è approvato da TNS. TNS non ha fornito nessuna interpretazione dei dati al cliente. TNS non ha dato il permesso al cliente di pubblicare i nostri dati. I dati non supportano l’interpretazione fatta dal cliente (che secondo noi esagera qualsiasi cosa che possa essere dedotta dai dati)”
Ops, scusate, mi sono lasciato prendere. Intendevo dire: credo che questo ponga termine alla discussione.
Le conclusioni che possiamo trarre, insomma, sono chiarissime: la comunità scientifica supporta pienamente la necessità della sperimentazione animale. L’opposizione in tal senso è così ridotta numericamente da potersi dire praticamente inesistente. E questo dato, lungi dall’essere una specie di nota a margine alla questione, per il profano ne è semmai la chiave di volta: gli esperti la pensano così.
In barba a chi pretenderebbe di farsi bello citando contro la sperimentazione animale proprio alcuni presunti “esperti”.
Dott. Alberto Ferrari, Comitato Scientifico Pro-Test Italia
[1] EMP (2004) Doctors Fear Animal Experiments Endanger Patients. Press release. London, UK: Europeans for Medical Progress.
[2] TNS Healthcare (2004) Statement to the Director of Coalition for Medical Progress. London, UK: TNS Healthcare