La Sperimentazione Animale: il problema della validazione
Quelle che affrontiamo oggi è un’altra di quelle critiche vecchie vecchie, ma anche una delle più sottili e insidiose. Era nelle famose domande di Cagno ed è una tiritera continua … “Il modello animale non è validato”
Ora, sembra ben strano, non trovate? Usano un metodo con successo da duecento anni (o se vogliamo anche da prima in realtà, le osservazioni scientifiche sugli animali per la medicina umana risalgono già ad Ippocrate) e nessuno si è mai preoccupato di “validarlo”! Incredibile! (Ancora più incredibile poi che si parli quasi immancabilmente di “modello animale”, al singolare, quando esistono migliaia di modelli animali tutti diversi gli uni dagli altri e usati per scopi diversi, e che quindi semmai andrebbero tutti validati singolarmente).
Troppo incredibile per essere vero. Questo argomento si basa su un fraintendimento di natura metodologica, che come quasi tutte le critiche alla sperimentazione animale è dovuto a carenze epistemologiche o di conoscenza del metodo scientifico.
Per cominciare diamo una definizione di cosa sia un “modello” in scienza.
Ci va bene anche Wikipedia questo scopo:
un modello è una rappresentazione di un oggetto o di un fenomeno, che corrisponde alla cosa modellata per il fatto di riprodurne (evidentemente alla luce di precisi riscontri fattuali ottenuti a partire da un metodo che sia garanzia di controllabilità) alcune caratteristiche o comportamenti fondamentali; in modo tale che questi aspetti possano essere mostrati, studiati, conosciuti laddove l’oggetto modellato non sia direttamente accessibile.
È chiaro? Penso di sì, ma spesso sembra che siano chiare cose che in realtà non a tutti lo sono nelle proprie piene implicazioni, quindi provo a renderlo più esplicito chiarendone i presupposti filosofici e scientifici.
Supponiamo che non ci sia la scienza, ma viviamo in una specie di mondo fatto di magie e spiriti. In questo mondo fatto di magie e spiriti nessuna conoscenza del corpo umano e del suo funzionamento avrebbe senso, perché tanto le leggi fisiche e biologiche non esistono e tutti i corpi si comportano in maniera diversa. In questo tipo di mondo per curare la salute non resterebbe che cercare di ingraziarsi gli spiriti.
Nel nostro mondo invece accade una cosa diversa: accade cioè che in natura si presentano delle regolarità. Ad esempio tutti i corpi cadono verso il centro della terra con un’accelerazione di 9.8 m/s2. Questo significa che io, un’incudine, una carota, una palla di gomma, uno scarafaggio, cadiamo verso il suolo con quell’accelerazione, e se siamo nel vuoto tocchiamo terra nello stesso momento. Anche se siamo completamente diversi sotto innumerevoli aspetti, sotto quell’aspetto ci comportiamo sempre nello stesso modo.
Filosoficamente parlando, il problema di che cosa sia che ci garantisce che domani l’accelerazione di gravità sarà ancora di 9.8 m/s2, o di cosa ci garantisce che io e lo scarafaggio cadiamo con la stessa accelerazione, è di complessa soluzione e ancora oggi è in discussione. Tuttavia nessuno mette in dubbio che ciò accada, e tutti quanti vivono e si comportano secondo la convinzione che ciò accada. Non ultimo, l’intero metodo scientifico si basa su questo assunto filosofico, e cioè che nella natura vi siano regolarità ripetibili, ovvero che rispetto all’accelerazione di gravità io e uno scarafaggio, altrimenti diversissimi, cadiamo nello stesso modo.
Questa presenza nella natura di regolarità è ciò che permette alla scienza di esistere, e che permette l’esistenza di un modello sperimentale: sono presenti regolarità in natura; enti diversi hanno in comune queste regolarità; queste regolarità possono essere riprodotte a distanze spaziali o temporali. In questo modo il modello può rappresentare l’oggetto di studio reale, o addirittura qualsiasi oggetto di studio ideale, e prevedere dunque il comportamento dell’oggetto di studio in virtù delle regolarità che hanno in comune.
Se la validità teorica di questo assunto viene meno, viene meno il concetto di validità di qualsiasi modello immaginabile e in ultima analisi della scienza in toto.
Ovviamente, dal punto di vista strettamente logico, non è inconcepibile che qualsiasi modello, anche il più apparentemente perfetto, possa essere fallimentare. Prendiamo due sfere di piombo identiche sotto tutti gli aspetti e le facciamo cadere in contemporanea nelle stesse identiche condizioni da identiche altezze; la previsione è che toccheranno terra insieme, ma non è possibile dimostrare logicamente che ciò accadrà. Quello che possiamo fare è registrare che abbiamo provato con tante palline di piombo di quel tipo, riscontrando una regolarità nella risposta della pallina a quel tipo di test. Non possiamo prevedere l’intervento di uno spirito, e non possiamo neanche prevedere che qualche rompiscatole non apra la porta durante l’esperimento e afferri una delle due palline a mezz’aria; noi possiamo solo riscontrare una regolarità nell’associazione fra la forma sferica e la costituzione di piombo e il tipo di caduta della pallina, che sarà diversa dalla caduta di una piuma (sia per l’attrito dell’aria che per la forma diversa). Se riscontriamo un’associazione regolarmente ripetuta, noi possiamo fare previsioni anche su circostanze diverse, possiamo prevedere la velocità di caduta di qualsiasi pallina, di qualunque materiale, in qualsiasi circostanza, su qualsiasi pianeta, fatti i dovuti aggiustamenti ai calcoli. Ma non possiamo avere garanzia logica che le cose andranno come vogliamo; tutto si basa sull’assunto della regolarità.
Dunque io da come cade una pallina nel mio laboratorio posso prevedere come cadranno una carota o un umano da un grattacielo in centro, se riconosco l’assunto scientifico che finora ha sempre funzionato, ovvero quello della regolarità della natura. La pallina di piombo nel mio laboratorio dunque è un modello della carota o dell’umano che cade dal grattacielo. Certo, non si spappola a terra come farebbe l’umano in quella circostanza. Certo, non urla nel frattempo. Ma è sottoposta, fatto salvo il diverso attrito dell’aria, alla stessa accelerazione di gravità.
Se adesso mi diceste che dobbiamo “validare” la pallina come modello dell’umano che cade dal grattacielo, cosa dovrei fare?
Credo che sarei alquanto spiazzato. Siamo entrambi corpi solidi, siamo fatti di atomi, la legge di gravità finora ha sempre funzionato sulla Terra… che diamine c’è da validare? Potrebbe esserci da “validare” un solo fatto: cioè il fatto che la massa di cui siamo fatti noi umani è massa esattamente nello stesso modo in cui lo è la pallina di piombo, e gode dunque delle stesse priorità.
Va bene, quindi ci toccherà gettare un umano da un palazzo per vedere se cade esattamente come prevedevamo che sarebbe caduto usando la pallina come modello.
E poi? Sarete contenti?
Forse sì, ma potreste dirmi ancora: “ok, abbiamo provato su un umano, ma chi ci dice che tutti gli umani cadano nello stesso modo?!”
Temo che dovremo buttare almeno un centinaio di umani prima che siate contenti. O forse no, perché in realtà io non ho provato tutti gli umani del mondo, che siano esistiti, vissuti, morti, o che ancora devono nascere, non posso generalizzare così facilmente… Fin quando non avrò provato con tutti gli umani non sarete contenti, perché non sono forse tutti diversi, gli umani?
Insomma finisce che non possiamo fare nessuna previsione che vi faccia contenti. Perché? Perché voi negate l’assunto filosofico, alla base della scienza, che sia possibile fare delle previsioni basate sulla regolarità della natura. E io non posso dimostrarvi questo assunto, perché per farlo dovrei rinunciare all’utilità stessa dei miei esperimenti: a che mi serve cercare di prevedere che accadrà sugli umani, se tanto io devo comunque provare su TUTTI gli umani della Terra, e neanche allora sarete contenti? Così diventerebbe non una previsione, ma una postdizione: dopo avere ammazzato tutti gli umani della terra è dimostrato che buttandoli da un grattacielo cadono in un certo modo e muoiono… ma io volevo prevedere la cosa usando la pallina appunto per evitare di dover fare questo crudele genocidio. E allo stesso modo, se per validare un modello sperimentale di screening dei farmaci devo ammazzare centomila volontari provando farmaci inutili direttamente su di loro… a che cavolo mi è servita questa validazione?La validazione mi serve proprio per non dover sperimentare partendo da zero ogni volta e in ogni singolo caso, perché posso fare una previsione prima della prova sul campo. Butto una pallina una volta e deduco cosa accadrà negli altri infiniti miliardi di casi, grazie alla regolarità della natura. Ovvio che non posso sapere se la previsione era corretta prima di averlo verificato, quindi in un certo senso qualsiasi predizione è validata solo a posteriori: prevedo che pioverà sulla base dei dati acquisiti dalle stazioni meteo e delle statistiche di vari decenni, ma poi sono sicuro che la previsione sia corretta solo quando si è già verificata. Ovvero quando non serve più. Chiaramente la validazione di un modello sperimentale non può consistere nell’aspettare ogni singola volta e vedere se ha funzionato, devo trovare un sistema che faccia delle previsioni di cui io mi fidi prima della prova sul campo.
Al massimo, se proprio voglio essere pignolo, quello che andrò a fare per validare la pallina come modello, ovvero per vedere se la mia pallina prevede come si comporta il mio corpo riguardo all’accelerazione di gravità, è vedere se prevede bene i comportamenti in un certo numero di circostanze, vedere se c’è una regolarità. Abbiamo una pallina che cade da mezzo metro: la paragonerò ad una carota che cade da venti centimetri, ad un diario di scuola che cade da dieci metri, ad un umano che cade da due… e poi farò una generalizzazione basata sul fatto che tutti questi enti hanno in comune di essere corpi solidi e qualche altra cosa, per poi associare la solidità ad un determinato comportamento rispetto alla gravità. Regolarità, è ancora la parola d’ordine: non posso sapere che tutte le carote si comporteranno come quell’una, due o cento carote che ho sperimentato; lo assumo su base filosofica, assumo che la natura sia guidata da leggi e non da spiriti capricciosi.
Con qualsiasi modello sperimentale, anche quelli in biologia, il meccanismo è uguale. Io posso prendere una serie di enti che hanno delle cose in comune e verificare il loro comportamento in una serie di circostanze standardizzate; dopodiché farò una generalizzazione che associa più o meno stabilmente alcune di queste proprietà in comune con un determinato comportamento.
Ad esempio, i topi e gli umani hanno entrambi i recettori per il GABA. Verifico che in entrambe le specie hanno funzioni molto simili, che alterazioni dei recettori GABA producono più o meno gli stessi esiti in entrambi, che insomma riguardo a quell’aspetto i due oggetti si comportano in maniera estremamente simile o identica: ecco che faccio la mia generalizzazione: probabilmente reagiranno allo stesso modo alla somministrazione di benzodiazepine o barbiturici.
Ed è tutto qui, validare significa QUESTO e BASTA. Significa verificare che il modello abbia in comune con l’oggetto di studio abbastanza da permettere una generalizzazione ragionevole.
Ovviamente ho scritto ragionevole perché quando siamo di fronte a sistemi complessi le generalizzazioni sono pericolose e non si deve intendere che se X ha questo effetto sul topo, allora avrà lo stesso effetto sull’uomo; bensì che se X ha questo effetto sul topo, è probabileche avrà un effetto simile anche sull’uomo.
Quando è che le somiglianze sono “abbastanza” da permettere una generalizzazione? Be’, non c’è una regola a priori a questo proposito. Tuttavia sono stabiliti dei criteri di buon senso che vengono usati nella validazione dei modelli.
Gli anti-SA paiono ossessionati dalla validazione, ma paiono non capire che tipo di processo sia.
Per esempio se cerchiamo un modello per il cancro (senza animali, così son tutti contenti):
Per prima cosa, visto che non abbiamo modelli in partenza, facciamo ipotesi su come crearlo. Potremmo ad esempio cercare delle cellule che si riproducano senza controllo, magari con anomalie cromosomiche, che siano immortali eccetera. È così che si comportano le cellule cancerose, dobbiamo cercare qualcosa che almeno gli somigli un po’. E magari abbiamo sotto mano delle cellule, che potremmo aver osservato per caso da una biopsia o preso da un embrione, che somigliano a quelle cancerose e potrebbero essere dunque essere un punto di partenza
Questo è già un inizio, se somiglia tanto alla patologia umana è probabile che si comporti nello stesso modo. È un modello. Ma se vogliamo esserne più sicuri, perfezionare il modello, possiamo fare di meglio.
Possiamo fare in modo che delle cellule sane in coltura acquisiscano le caratteristiche di cui sopra, e che ciò avvenga somministrando loro le medesime sostanze che causano il cancro nell’uomo. Ad es., vediamo se dandogli l’amianto diventano cancerose.
Se abbiamo delle cellule identiche o quasi identiche a quelle del cancro, e che si sono ridotte così dopo che le abbiamo sottoposte agli stessi trattamenti che causano il cancro nell’uomo, allora abbiamo già davanti qualcosa che probabilmente è un buon modello per almeno certe caratteristiche del cancro, e che verosimilmente prevederà alcune delle risposte ai farmaci del cancro. Difficile che sia tutta una coincidenza, no? Se la causa dell’alterazione nel modello è la stessa della patologia umana, probabilmente prevederà anche le risposte ai farmaci.
Possiamo fare ancora di meglio? Certo.
Possiamo prendere il nostro modello e trattarlo con gli stessi farmaci anticancro che si rivelano efficaci sull’uomo. Se sono efficaci anche sul modello, con la dovuta prudenza dovuta al fatto di star affrontando un sistema complesso, allora facciamo la previsione che probabilmente anche altri farmaci, di cui NON sappiamo l’effetto a priori, avranno sull’uomo lo stesso effetto che avranno sul modello.
Ovviamente, ripetiamolo ancora una volta: non c’è alcun modo su questa terra, in questo universo e nell’ambito delle capacità del cervello umano di fare una previsione scientifica se essa non si basa sull’assunto a priori, filosofico, della regolarità della natura.
E nonostante questo assunto non possa essere dimostrato, nessuno lo lascia mai cadere, per l’ottima ragione che è necessario alla scienza. Chi non abbraccia quell’assunto può andare a dibatterne nelle aule di filosofia, ma non in quelle di scienza, perché nessuna scienza è possibile senza di esso. E mi sento di aggiungere che perfino la vita di tutti i giorni è impossibile senza quell’assunto: senza un assunzione di regolarità non potrei avere certezza che la sedia su cui sono seduto non mi passerà attraverso lasciandomi cadere a terra, o che il frigorifero accanto a me non si tramuterà in un mostro per divorarmi da un momento all’altro…
Gli anti-SA quando sostengono che i modelli animali non siano validati intendono che non sono validati con procedura standard ECVAM. Ma cosa credono che si faccia all’ECVAM quando si produce e valida un nuovo modello? Si fanno i tre passi che ho elencato sopra: si verifica che il modello abbia somiglianza significative nei fatti alla patologia umana, eventualmente che esso sia prodotto dagli stessi fattori che producono la patologia umana, infine che risponda ai trattamenti già noti nello stesso modo in cui risponde l’umano.
Nella sperimentazione animale questi tre criteri si chiamano face validity, validità di forma; construct validity, validità di costrutto; predictive validity, validità predittiva.
Validare un modello, animale o non, significa soltanto verificare la sua aderenza a questi tre criteri, e viene fatto continuamente, in maniere implicita (ad esempio senza parlare esplicitamente di validazione) ma anche esplicita (una semplice ricerca su pubmed con le parole chiave “validity animal model” trova 2151 risultati). Al massimo la particolarità dell’ECVAM è che, poiché si occupa di test biologici, e non in generale di sperimentazione in biologia, pone l’enfasi direttamente sulla validità predittiva. Vedremo con un esempio come in realtà non sempre l’enfasi possa essere sulla validità predittiva; ma nel frattempo noteremo chenon si può fare nulla di più di questo, con nessun modello; ovvero non si può fare di più che supporre che ci siano nella biologia regolarità tali che seppure non rendono sicura la generalizzazione sulla base delle somiglianze, la rendano almeno probabile, e dunque verificare la presenza di uno o più dei criteri di validità sopra esposti.
E attenzione, io ho elencato tre criteri: stessi sintomi, stessa eziologia, stessa efficacia dei trattamenti noti. Questa è l’idea di miglior modello possibile e immaginabile, i modelli reali spesso non sono così perfetti, il che ci riporta a quei casi in cui non si può mettere alla prova direttamente la validità predittiva. Prendiamo ad esempio i modelli di malattie neurodegenerative, quelli che più spesso si beccano le cannonate degli anti-SA perché al momento non hanno prodotto cure definitive: non è mai esistito un trattamento noto efficace contro le malattie neurodegenerative. Non c’è un farmaco noto realmente efficace contro l’Alzheimer.
Quindi se ci serve un modello di Alzheimer, che sia esso in vitro o in vivo (non credo possiamo simulare le perdite di memoria o la depressione da Alzheimer nelle cellule, invero, ma diamo atto che alcune caratteristiche istologiche dell’Alzheimer possono essere riprodotte in vitro e quindi anche quello è un modello per certi aspetti adeguato), esso potrà avere validità di forma, per esempio ha le placche di beta-amiloide e la degenerazione colinergica; potrà anche avere, magari, una qualche validità di costrutto, ad esempio essere dovuto ad una mutazione genetica come alcune forme familiari di Alzheimer… ma non potrà MAI avere la validità predittiva, perché non abbiamo farmaci efficaci con cui confrontare quelli nuovi. E in realtà, a dire il vero, anche la validità di costrutto è estremamente difficile da raggiungere, poiché non è affatto chiara l’eziologia della variante sporadica del morbo di Alzheimer negli umani, dunque come possiamo riprodurla in vitro o su modelli animali?
Nel caso delle malattie neurodegenerative il grosso del lavoro attualmente è costruire modelli che abbiano validità di forma e attraverso di essi cercare di comprendere l’eziologia; una volta capita l’eziologia, sarà possibile sperimentare trattamenti nuovi. Solo quando avremo i primi trattamenti efficaci potremo cominciare a parlare di validità predittiva. Chi parla di validità predittiva prima ancora di avere la validità di forma è come se volesse imparare a nuotare prima di entrare in acqua, ciò è assurdo.
Ed è fondamentalmente da questo fraintendimento di base dello stesso concetto scientifico di “validazione” che nasce il mito secondo cui i modelli animali non sarebbero validati. Il mito deriva dal fatto che gli anti-SA non comprendono che qualsiasi processo di validazione altro non è che la verifica dell’aderenza del modello a criteri di validità prestabiliti, e che tali criteri si basano sempre e comunque sull’assunto filosofico, sempre logicamente indimostrato e indimostrabile, della regolarità naturale. Un modello somiglia alla patologia umana? Non significa necessariamente che preveda l’efficacia di un trattamento ignoto. Ma è probabile, ed è ancora più probabile che getti luce sulle cause della patologia. Un modello somiglia alla patologia umana e ne ha le stesse cause? Ancora non significa che risponda come la patologia umana, ma adesso è ancora più probabile. Il modello risponde ai trattamenti già noti (se ce ne sono) come la patologia umana? Allora non si può neanche immaginare un modello migliore… eppure tuttavia ancora non c’è nessuna garanzia puramente logica che debba per forza prevedere il risultato sull’umano, se non ci si basa sull’assioma della regolarità della natura. Quando vado a validare un modello cerco solo di avvicinarmi i più possibile alla realizzazione dei tre criteri che poi, con l’assunto che ci siano regolarità in natura, mi faciliteranno il successo nella previsione. E questo processo viene fatto con tutti i modelli; ogni singolo modello animale è validato o in corso di validazione; la sua stessa produzione è già un primo passo di validazione.
E sotto questo aspetto i modelli animali non sono diversi in nulla, ma proprio in nulla, da qualsiasi modello in vitro.
Quello che fanno gli anti-SA è ridefinire man mano i propri parametri di validazione, di modoche qualsiasi metodo di validazione sia utilizzato, essi possano sempre dirsi insoddisfatti, esattamente come facevate voi con la pallina di piombo. Fino a concludere, se portiamo il ragionamento fino alle sue estreme e assurde conseguenze, che nemmeno l’uomo è un buon modello per l’uomo e la biologia come scienza non può esistere.
Noi mostriamo loro un topo che ha sintomi anedonici come modello di anedonia umana.
Loro ci risponderanno “ma che importa se ha gli stessi sintomi? Non li avete causati nello stesso modo in cui insorgono nell’uomo!”, e già qui si sbagliano perché se il modello ha validità di forma può aiutarci proprio a gettar luce sull’eziologia.
Noi mostreremo loro un topo che è anedonico per via dello stress, come gli uomini.
Loro ci risponderanno “ma che importa se ha gli stessi sintomi e insorgono anche nello stesso modo? Non potete avere la certezza che i trattamenti farmacologici che funzionano siano gli stessi che sull’uomo!”
Allora prenderemo i farmaci che sappiamo funzionare sull’uomo e verificheremo che funzionino anche sul nostro modello.
A quel punto loro ci diranno “ma che importa se i farmaci già noti sono efficaci sia sull’uomo che sull’animale? Non potete avere la certezza che anche i nuovi farmaci, quelli di cui non sappiamo nulla e che vogliamo testare, risponderanno alo stesso modo!”
La conclusione ovvia di questo processo è una sorta di scetticismo scientifico totale. Finiremo in un mondo che è fatto di spiriti capricciosi da ingraziarsi, e non di regolarità naturali.
Molto bene, in un aula di filosofia, magari per il puro piacere del dibattito, questa posizione è anche sostenibile. Ma allora si dica chiaramente che si preferisce la magia alla scienza, e non ci si nasconda sotto un manto di falsa scientificità…
POSCRITTO
Girano già su internet alcune “risposte” a questo articolo, che ha la colpa di pungere sul vivo uno degli argomenti più usati dagli anti-SA.
Il grosso di queste risposte è basato sul travisamento di dati statistici, ma la statistica non è il tema di questo articolo e l’approfondimento statistico richiederebbe uno scritto a parte. Qui ci interessavano le basi metodologiche ed epistemologiche dei modelli animali e la questione della validazione.
Gli argomenti portati in tal senso sono due, una volta che stringhiamo e tagliamo tutti gli orpelli:
1) Gli animali sono complessi.
La risposta qui è destramente semplice: anche gli uomini sono complessi, anche gli uomini sono tutti diversi fra loro. E infatti le risposte ai farmaci possono variare anche fra individuo umano e individuo, questo è un effetto della complessità. Ma il gioco di prestigio è trasformare complessità delle risposte in indeterminismo totale delle risposte. Non è così, anche se gli uomini sono tutti diversi, le risposte sono prevedibili al livello statistico provando su altri uomini, e in realtà anche su animali.
Certo, fra uomini ed umani c’è una maggiore variabilità che fra umani e umani, questa è la fiera della banalità… ma quand’è che la differenza diventa “troppa” per generalizzare? Filosoficamente parlando, MAI. Come una pallina di piombo ed un uomo cadono allo stesso modo da un palazzo, in barba alla maggiore complessità dell’uomo, è possibile trovare analogie e regolarità fra Homo e Mus, fra Homo e Drosophila, fra Homo e Caenorabditis. È sufficiente isolare le variabili.
Filosoficamente, non v’è nessuna ragione per pensare di poter porre un determinato confine di complessità oltre il quale il modello diventa inutile. Potremmo passare tutta la vita a dirci a vicenda “gli animali sono molto diversi!” e “gli animali sono molto simili!”, ma il confine che indichi quando la previsione non può valere più (nemmeno al livello statistico) non può essere tracciato univocamente, una sola volta e per migliaia di modelli animali diversi con funzioni diverse, come pretendono di fare gli anti-SA.
Il punto dell’articolo, che sembra pervicacemente sfuggire a certi lettori, è che le previsioni in realtà sono sempre fatte prima di sapere se la previsione funzionerà, ovviamente, e sono validate sulla base del presupposto filosofico della regolarità: abbiamo provato dieci farmaci diversi, possiamo supporre che altri dieci si comporteranno nello stesso modo sulla base della regolarità. Ma poiché tutti i farmaci sono diversi e tutti quelli a cui lo daremo sono diversi e sono pure “complessi”, la nostra previsione si basa comunque, anche dopo la nostra “validazione predittiva”, su un assioma di regolarità, esattamente come la previsione che se due modelli presentano gli stessi sintomi e la stessa eziologia allora risponderanno allo stesso modo ai trattamenti.
2) Facciamo confusione fra la validazione ECVAM dei test preclinici e la validazione dei modelli animali.
È alquanto curioso che ci si accorga adesso della differenza fra le due cose. In realtà è stata più volte fatta notare dalla nostra parte… Ad esempio sul blog “In difesa della sperimentazione animale” sta scritto nelle FAQ:
Solo i metodi validati dall’ECVAM sono riconosciuti dalla legge come utilizzabili in sostituzione di un rispettivo modello animale per fare una specifica previsione nei trial farmacologici, ma nei laboratori vengono utilizzati come generatori e verificatori di ipotesi un’infinità di modelli sperimentali in vitro, altro che i 38 validati dall’ECVAM.
Generalmente gli oppositori della sperimentazione animale criticano (abbastanza inefficacemente) soltanto l’uso di animali nei test farmacologici, e poi per sineddoche pretendono di aver demolito la Sperimentazione Animale in toto. Non è così, anzi la parte più grossa della Sperimentazione Animale sta al di fuori dell’uso di animali come predittori esatti di una risposta a un farmaco.
La confusione fra test farmacologici obbligatori e modelli animali in generale è sempre stata portata avanti dagli anti-SA, non da noi. A noi preme semmai esattamente chiarire la differenza. In generale gli anti-SA criticano i test, e poi per sineddoche criticano i modelli, pretendendo che ogni modello sia trattato come un test farmacologico. Al di là di quanto possano essere fondate dal punto di vista statistico le critiche ai test tossicologici obbligatori (molto poco), un test e un modello sono due cose diverse. Un test è un sistema che genera risposte a quesiti scientifici, un modello è un sistema per riprodurre caratteristiche di un oggetto di studio inaccessibile. Il test si implementa sul modello, ma la validità di un modello e di un test sono due cose diverse: di un test si verifica solo la validità predittiva, perché è quello tutto ciò che deve fare, dare una risposta sull’efficacia e la tossicità dei farmaci; di un modello si valida semmai quanto sia adeguato a implementarvi sopra un test. E questa è una validazione che, proprio perché ancora non esiste un test con poter predittivo ma sta venendo creato, è fatta a priori della verifica dei risultati.
Ovviamente la validità predittiva è uno dei criteri di validazione di un modello, come ripetuto fino alla nausea, ma come già spiegato non può essere l’unico perché la validazione predittiva richiede che esistano già trattamenti efficaci con cui confrontare quelli nuovi. Prima di poter sognare validità predittiva bisogna avere validità di forma e costrutto.
[Dott. Alberto Ferrari – Comitato Scientifico Pro-Test Italia]