Modelli computazionali per studiare farmaci antiaritmici di classe I: un’alternativa concreta o solo un primo passo?
Si definisce come antiaritmici una categoria ben precisa di farmaci che vengono impiegati in ambito clinico per trattare forme diverse e variegate di aritmie più o meno gravi.
Cosa sono le aritmie? Sono delle alterazioni elettrofisiologiche del comportamento normale del cuore, in particolare del suo sistema di conduzione elettrica che permette all’impulso di partire dagli atri, arrivare ai ventricoli e a tutto il cuore stesso. Queste alterazioni possono essere legate alla presenza di battiti extra o di modificazioni strutturali del cuore stesso e possono avere manifestazioni cliniche più o meno importanti o addirittura non manifestarsi affatto.
Spiegare il meccanismo fisiopatologico dell’insorgenza delle aritmie è abbastanza complesso ma, cercando di semplificare, nella fisiologia cardiaca si distinguono diversi meccanismi di innesco e di mantenimento di un’aritmia sia di tipo anatomico che fisiologico: proprio su quest’ultimo ambito vanno ad agire gli antiaritmici, ovvero bloccando i meccanismi fisiologici (comprendenti recettori e canali ionici) dell’aritmia stessa; proprio per questo motivo questo gruppo di farmaci viene suddiviso in sottocategorie in base al loro meccanismo d’azione secondo una classificazione elaborata nel ‘92 da Williams che contiene le principali molecole usate nella medicina moderna (per chi volesse approfondimenti riguardo le aritmie, i farmaci antiaritmici e la loro classificazione, può consultare questo pdf ben fatto dall’Università di Barihttp://xfiles.farmacia.uniba.it/farmol/didattica_web/64/argomenti/Antiaritmici.pdf)
Qual è il rischio di un antiaritmico? Visto i meccanismi su cui va ad agire può sia bloccare un’aritmia potenzialmente letale che scatenarne una soprattutto in base alla dose del farmaco e alle condizioni del tessuto cardiaco; proprio per questo motivo è molto importante testare queste molecole in vitro e in vivo per poterne capire i benefici ed i rischi e decidere se proseguire lo studio di una determinata molecola.
Ad agosto è stato pubblicato uno studio condotto da un team di ricercatori guidati dal Dott. Jonathan D. Moreno su Science Translational Medicine (http://stm.sciencemag.org/) riguardante un possibile modello computazionale di studio dei farmaci antiaritmici di classe I, in particolare per quanto riguardo lo studio degli effetti di questi ultimi sul ritmo ventricolare; la notizia è stata ripresa da rappresentanti del mondo animalista come prova dell’esistenza di una vera alternativa……ma ne siamo certi? Andiamo a vedere cosa dice lo studio vero e proprio.
Nelle premesse dello studio innanzitutto si confronta l’efficacia della metodica single-cell (metodica in vitro basata sull’osservazione del comportamento di cellule singole) nel valutare l’azione degli antiaritmici con i risultati del CAST (Cardiac Arrhythmia Suppression Trial http://circ.ahajournals.org/content/91/1/245.full) che hanno mostrato come i farmaci antiaritmici possano avere un potenziale aritmogenico da tenere sicuramente in considerazione, in particolare viene detto:
“Although these drugs appeared to function exactly in this way in single-cell experiments, the Cardiac Arrhythmia Suppression Trial (CAST) paradoxically showed that they caused a two- to threefold increase in sudden cardiac death compared to treatment with placebo. The failure of single-cell effects of antiarrhythmic drugs to predict drug action in intact cardiac tissue does not, however, necessarily preclude their use”
” Nonostante questi farmaci sembrino funzionare esattamente in questo modo negli studi con cellule singole, il CAST paradossalmente ha rivelato che raddoppiano o triplicano il rischio di morte cardiaca improvvisa in confronto al placebo. L’insuccesso mostrato dai modelli a cellula singola nel prevedere il funzionamento del farmaco antiaritmico su tessuto cardiaco intatto in ogni caso non preclude il loro utilizzo”
Perciò lo studio è partito da una critica di un modello in vitro non del modello animale, come sottolineato proprio all’inizio del lavoro!
Andiamo avanti.
Lo studio è molto interessante in quanto, tramite un modello matematico che simula l’azione dei canali ionici coinvolti (sia nella fisiologia cardiaca normale che nella genesi e mantenimento delle aritmie), permette di simulare l’effetto di un antiaritmico a livello ventricolare e di studiarne il profilo di sicurezza :
“Our study describes a potential strategy to determine preliminary safety profiles of drugs that cause conduction slowing and widening of the QRS complex. Here, we tested prototypical anti-arrhythmic agents (flecainide and lidocaine), but the approach can be extended to predict pro-arrhythmic potential of other anti-arrhythmic agents—those currently in use, and those under development. Because efficient methods for preclinical pro-arrhythmia assessment of candidate compounds affecting cardiac ion channels are currently lacking, our approach may comprise a plausible first screening step”
” Il nostro studio descrive una potenziale strategia per determinare profili di sicurezza preliminari di farmaci che possono rallentare la conduzione [cardiaca nda.] e l’allargamento del complesso QRS. Qui abbiamo tetato prototipi di agenti antiaritmici (flecainide e lidocaina) ma il metodo può essere esteso al prevedere il potenziale proaritmogeno di altri agenti antiaritmici, in uso o sotto sviluppo. Poiché mancano attualmente metodi efficienti per accertare la capacità proaritmogena di composti candidati con azione sui canali ionici cardiaci, il nostro approccio può essere un primo screening plausibile”
L’intento è quindi ambizioso ma le premesse sono molto incoraggianti, almeno leggendo questi risultati; si tratta di un possibile metodo complementare per ridurre l’utilizzo del modello animale nello studio di questi farmaci. Inoltre potrà aiutare senz’altro a selezionare meglio i possibili principi attivi che in un futuro prossimo potrebbero diventare farmaci.
Si tratta una alternativa però? Purtroppo no, per diversi motivi:
- questa metodica si limita a studiare un solo ambito riguardante lo sviluppo di un antiaritmico, ovvero quello riguardante gli effetti collaterali proaritmogeni di questi farmaci; sugli altri possibili effetti collaterali extracardiaci non aiuta in alcun modo;
- per lo stesso motivo riportato sopra, non fornisce alcuna informazione riguardo la farmacocinetica (in poche parole, come un farmaco viene assorbito, metabolizzato ed eliminato) di una molecola e quindi sarà inevitabile l’uso del modello animale per poterla analizzare;
- lo studio stesso è limitato allo studio delle aritmie ventricolari come viene detto dagli stessi autori e non tiene conto della molteplicità di variabili sia anatomiche come le strutture nodali sia funzionali come nel caso delle aritmie sopraventricolari (“However, this is a limitation of the study, because myriad arrhythmogenic situations and triggers exist. We also focused exclusively on ventricular arrhythmias in this study. The mechanisms put forth in this paper must be tested in the context of atrial arrhythmias in which conditions in the atrium would be complicated by the presence of nodal structures and differences in atrial cell electrophysiology” -> ” Ad ogni modo questa è una limitazione dello studio poiché esistono una miriade di situazioni aritmogeniche e di trigger. I meccanismi mostrati in questo lavoro devono essere testati nel contesto delle aritmie atriali nelle quali vi sono complicanze legate sia alla presenza di strutture nodali che alla differente elettrofisiologia delle cellule atriali”).
Lo stesso metodo computazionale è stato poi confrontato con i risultati ottenuti sul modello animale, preso perciò come standard per verificare l’efficacia del metodo stesso (e chissà quanti altri confronti saranno necessari per poter arrivare ad un metodo computazionale completo ed efficace):
“These results were validated in whole-heart rabbit epicardial optical mapping, which showed both comparable patterns of CV (velocità di conduzione) slowing and the frequency- and dose-dependent onset of conduction block.”
” Questi risultati sono stati confermati nella mappatura ottica epicardica del cuore del coniglio, che ha mostrato pattern simili di rallentamento della velocità di conduzione e di insorgenza di blocchi di conduzione legati alla dose del farmaco e alla frequenza”
In conclusione questo studio rappresenta senz’altro un obiettivo su cui investire e puntare per migliorare lo sviluppo di un farmaco ma non è sicuramente un’alternativa disponibile da subito, né potrebbe fornire da sola tutte le informazioni necessarie per poter arrivare ad un principio attivo sicuro ed efficace.