Domanda dagli utenti: cosa ne pensate di questa intervista del Dr. Cagno?

Un nostro visitatore, Tommy, ci chiede se possiamo commentare questa intervista del dott. Stefano Cagno, membro di Equivita e del Comitato Scientifico della LIMAV.

Noi siamo felici di farlo, citando, come sempre, le frasi a cui ci riferiamo:

“Se la vivisezione fosse scientificamente valida perché bisognerebbe compiere anche la sperimentazione umana?”

Lo scopo della sperimentazione umana in ambito tossicologico (che è l’unico campo, assieme alla sperimentazione su cosmetici, di cui parlano il dott. Cagno e la maggior parte delle altre associazioni animaliste) non è quello di avere un dato per poter commercializzare un farmaco immediatamente. Lo scopo è di avere dei dati tale da poter iniziare la sperimentazione clinica di fase 1 sui volontari con un ragionevole grado di sicurezza.

Vedete, se consideriamo 100 molecole che hanno tutte brillantemente passato i test in vitro, nei test in vivo su animale il 96% circa si dimostrerà inutile, gravemente tossico od addirittura letale. Fare come suggerisce il Dott. Cagno qua:

“Non è mai stata dimostrata la validità scientifica della vivisezione e quindi ritengo che potrebbe essere abolita anche senza la possibilità di sostituirla con alternative”.

vorrebbe dire testare quelle 100 molecole direttamente nell’uomo, con la necessità di un numero molto alto di volontari e con la certezza che, con tutta probabilità, almeno il 50% di questi subirà effetti collaterali gravi e che una certa percentuale di questi avrà una reazione fatale. Io capisco che il Dott. Cagno sia uno psichiatra e che non abbia mai messo piede in un laboratorio di ricerca, se non forse in visita, ma se uno non conosce certe cose dovrebbe evitare di dire inesattezze di questo tipo. Perché poi è ovvio che uno “non del campo” gli creda (è pur sempre un medico, e nella mente della gente comune il medico è per definizione competente, anche se non ha mai fatto un giorno di ricerca).

“Il 52% dei farmaci commercializzati negli USA, ossia nella nazione tecnologicamente più avanzata, hanno provocato gravi reazioni avverse che non si erano verificate nei test sugli animali. Tutto ciò provoca la morte ogni anno negli USA di circa 100.000 cittadini”.

Qua il dott. Cagno parla un po’, per usare una terminologia da film western, con lingua biforcuta: i dati possono anche essere veri, ma sono presentati in maniera parziale, per dimostrare una tesi. Prendiamo per buono il dato dei 100.000 decessi (non so se sia reale, ma supponiamo che lo sia): quanti sono, in percentuale? Cioé, quanti farmaci vengono venduti, in un anno, negli stati uniti?

Secondo i dati del CDC negli Stati Uniti d’America, nel 2010, 12 milioni di americani hanno dichiarato di aver utilizzato analgesici con obbligo di prescrizione (oppioidi e narcotici, come il Vicodin) senza regolare indicazione medica.

12 MILIONI… SENZA PRESCRIZIONE… SOLO OPPIOIDI

Considerando che gli oppioidi sono una minima parte dell’utilizzo di farmaci, e che solo questi causano 15.000 morti all’anno per overdose, si vede che il dato non è così grave. Possiamo stimare almeno una decina di miliardi di farmaci venduti all’anno (probabilmente di più, il fatturato farmaceutico statunitense è enorme: oltre 800 miliardi di dollari, 2009 — 2010). Di questi, anche ammettendo il dato dei 100.000 morti, l’1% causerà effetti collaterali tali da portare alla morte (e in questo gruppo dobbiamo inserire anche i farmaci con effetti collaterali gravi descritti ed attesi, ma che servono per curare malattie molto gravi, come gli anti-retrovirali o i chemioterapici).

Questo, però, vuol dire che altri 9.999.900.000 farmaci sono stati assunti senza problemi.

E il 52% di cui parla il dott. Cagno?

Anche ammettendo che il dato sia vero, questo non vuol dire che, su ogni 100 farmaci prescritti, 52 diano effetti collaterali gravi, ma che su tutti i farmaci in commercio, il 52% ha dato almeno 1 effetto collaterale grave (su miliardi di pezzi venduti).

“Alcune sono molto vecchie, come gli studi epidemiologici che hanno reso possibile l’individuazione di tutti i fattori di rischio per le malattie cardio-circolatorie. Altre sono più moderne, come le colture cellulari che forniscono dati parziali, perché riferiti non ad un organismo in toto, ma comunque veritieri perché prodotti utilizzando materiale biologico (le cellule) della stessa specie per la quale stiamo compiendo la ricerca. Ultimamente poi possiamo contare sui sussidi tecnologiche sempre più raffinati: pensiamo al cosiddetto brain imaging (TAC, RMN, PET), alla clonazione cellulare, alle cellule staminali eccetera. Tutte queste possibilità e altre ancora rendono ogni giorno sempre più indifendibile scientificamente il ricorso agli animali nella ricerca.”

Sugli studi epidemiologici abbiamo già scritto in un altra nota: per un farmaco vuol dire metterlo in commercio, aspettare che venga assunto da milioni di persone e poi vedere se c’è un incremento di effetti collaterali o patologie strane (o morti).

Non mi pare davvero percorribile (ma capisco che la parola abbia un suono esoterico ed incomprensibile ai più e che aiuti a vendere libri). Le altre sono tutte tecniche che fanno parte del comune bagaglio di qualsiasi ricercatore. Molto utili, ma non sostituiscono un animale.

“In Italia esiste una legge (n° 416 del 1993) che garantisce agli studenti ed ai lavoratori il diritto di obiezione di coscienza alla vivisezione per motivi etici. Fino ad ora l’Università ha mantenuto un atteggiamento oscurantista, ostacolando in tutti i modi la possibilità per gli studenti di conoscere questo loro diritto. La legge prevede che non vi sia alcuna forma di ritorsione nei confronti degli obiettori. Inoltre i professori dovrebbero garantire agli studenti laboratori didattici alternativi a quelli che impiegano animali. Ho detto dovrebbero perché in realtà questi laboratori non vengono mai istituiti, poiché creerebbero una cultura alternativa a quella dei vivisettori e questo fatto sarebbe per loro destabilizzante”.

Partiamo dal presupposto che la legge è nota e nessuno la nasconde: io veramente mi chiedo perché una persona che è contraria alla sperimentazione animale decide di iscriversi a biologia od a veterinaria: sarebbe come voler fare carriera nel cinema hard essendo contrari al sesso.

Iscriversi a biologia, veterinaria, medicina o farmacia o altre facoltà scientifiche di questo tipo implica vedere un po’ di sangue e studiare un po’ di sperimentazione animale, anche se dopo, magari, uno va a fare lo psichiatra o va a lavorare su cellule. Ci devi essere portato. Non è una prescrizione medica, Lettere e Filosofia sono alternative altrettanto dignitose e non implicano nulla di cruento. In alternativa anche Scienze Ambientali può andare bene.

Ma vi immaginate un veterinario che non ha mai fatto pratica su animale durante l’università? Vi fareste operare da un chirurgo che non ha mai operato?

“Internet ha dato la possibilità a tutti di informarsi su un tema come quello della vivisezione per il quale vi era stata, in passato, una assoluta censura da parte dei mezzi di comunicazione di massa. Oggi chiunque ha la possibilità di leggere montagne di documenti che dimostrano i danni prodotti dalla vivisezione sulla salute umana e le atrocità compiute nei laboratori in nome di una falsa scienza, funzionale solo agli interessi di chi la compie”.

Internet, purtroppo, ha dato enorme diffusione anche alle bufale ed alle menzogne. E le menzogne, si sa, corrono molto più veloci della verità.

Il fatto è che il “contadino di Poggio Versezio” non ha la capacità di valutare un esperimento scientifico: non ne ha le basi. Guardate gli errori di valutazione fatti dal dott. Cagno, che è sempre un medico specialista e quindi non si dovrebbe poter definire “a digiuno” sull’argomento, pensate poi cosa può capirne uno con la laurea in chimica oppure in lettere e filosofia.

Ci sono biologi che hanno difficoltà a seguire certi argomenti (che fanno comunque parte del piano di studi). Più vai nel dettaglio e più è difficile capirlo. Gli immunologi, ad esempio, si capiscono quasi solo tra di loro 😎

“Nell’era della tecnologia avanzata, non può essere giustificata la prosecuzione di test come, ad esempio, il Draize Test nel caso della cosmesi, in cui spalmiamo i cosmetici negli occhi di conigli immobilizzati in apparecchi di contenzione e li teniamo in questa condizione per giorni interi”.

Ancora con il Draize test, che evidentemente piace molto al dott. Cagno, ovviamente spettacolarizzato in maniera splatter, così da rappresentare maggior crudeltà.

Prendiamo allora un protocollo vero e vediamo come si esegue?

Lo prendo da Gad: Drug safety evaluation, 2002. pagg 374-376

Innanzitutto non si testano nell’occhio sostanze troppo acide o troppo alcaline: né sostanze che si dimostrino corrosive o che siano irritanti allo skin test (praticamente si applica la sostanza sulla pelle e si vede se si arrossa) che comunque si esegue sempre prima del test oculare. Quindi le sostanze che si studiano nel Draize test sono sostanzialmente “innocue” o, comunque, sicuramente non altamente irritanti (altrimenti avrebbero fallito lo skin test e non sarebbero state testate nell’occhio).

Iniziamo con il dire che non si “spalma” nulla sull’occhio. Si mette una goccia (100 µl) del prodotto da testare nella sacca congiuntivale del coniglio, esattamente come ci mettiamo un collirio. Se la sostanza è una polvere, si applicano 100mg, sempre nella sacca. L’animale viene immobilizzato, affinché non si possa fare male muovendosi durante l’applicazione della sostanza o subito dopo, nel caso la sostanza gli dia fastidio.

Ma è vero che l’animale viene tenuto immobilizzato per giorni, come afferma il dott. Cagno? Ovviamente no!

Gli animali vengono tenuti immobilizzati per 1 ora (e non giorni, come sostiene il dott. Cagno), dopodiché vengono rimessi nelle loro gabbie e gli occhi vengono esaminati regolarmente. Se si verifica un’irritazione oculare si prosegue l’osservazione sino a risoluzione dell’infiammazione. Se il danno persiste oltre al 21esimo giorno si considera che il danno sia permanente.

Adesso, voi testereste una sostanza che potrebbe provocare un danno permanente all’occhio di una persona su un volontario sano?

Ovviamente sono allo studio metodi alternativi (che poi sono quelli che si usano per i cosmetici, dove la tossicità che ci si aspetta è davvero molto bassa), ma non sono ancora così affidabili da poter essere impiegati in ambito farmacologico.

Il Draize test è affidabile al 100%?

No, in certe situazioni confonde sostanze molto irritanti e mediamente irritanti, ma i casi in cui da un falso negativo (cioè nei quali non riconosce una sostanza irritante come tale) sono davvero pochi, meno dello 0.1%.

Come si può vedere, anche in questo caso le informazioni fornite dal dott. Cagno sono un po’ inesatte ed approssimative. Non lo prenderei come una fonte particolarmente affidabile.

Dott. Dario Padovan

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