Cosa ne pensate di Equivita? Sono una fonte affidabile di informazione?
Spesso qualche nostro visitatore ci chiede cosa ne pensiamo dell’una o dell’altra fonte riportata dalle associazioni contrarie alla sperimentazione su animali. In questo articolo analizzeremo l’affidabilità scientifica di una delle fonti più citate dalla propaganda dei movimenti anti-vivisezione.
Parliamo dunque di Equivita, un’associazione animalista “scientifica”. Prendiamo un articolo a caso e vediamo di analizzare cosa dice, così ci si potrà fare un’idea chiara su quanto le informazioni da loro fornite siano attendibili o affidabili.
Come esempio abbiamo preso il seguente articolo, ed essendo presente nella sezione “documentazione” del sito web di Equivita, ci aspettiamo che sia un qualcosa di scientifico e non propagandistico, quindi sembra un buon articolo da utilizzare come campione.
Partiamo, ovviamente, dall’inizio:
L’errore consiste nel ritenere come unica alternativa alla vivisezione, che per altro non possiede alcun valore scientifico, la sperimentazione umana, mentre in realtà già oggi possiamo contare su diversi validi metodi scientifici di ricerca che non impiegano animali e che possiamo chiamare metodi sostitutivi.
Primo errore: un metodo è sostitutivo quando riesce a sostituire in tutto e per tutto l’utilizzo di un animale. Se esiste un metodo che sostituisce in tutto e per tutto l’animale in un esperimento è obbligo di legge utilizzare quello e quindi già non si usa l’animale e il problema non si pone nei termini in cui suggerisce l’articolo di Equivita (cioé che i metodi ci sono ma non si utilizzano).
Quindi non è vero che se c’è un metodo alternativo affidabile e che non ponga rischi per operatori ed ambiente questo non venga utilizzato.
Continuiamo a leggere l’articolo:
Purtroppo, però, esistono alcuni problemi che ne limitano il loro sviluppo e la loro applicazione, il primo dei quali è la tendenza, sia nel settore pubblico, sia in quello privato, a sovvenzionare gli esperimenti sugli animali, anziché i metodi sostitutivi.
Quanto affermato da Equivita non è assolutamente vero. Ci sono fior fior di centri che si occupano solo di sviluppare e validare i metodi alternativi e, obiettivamente, hanno anche un sacco di fondi (citiamo, ad esempio il CAAT, l’ECVAM ed altri istituti similari, che sono pesantemente finanziati, sopratutto dalle industrie farmaceutiche). Qualche test lo hanno prodotto, nei limiti delle attuali conoscenze scientifiche, e i test validati sono, ovviamente,entrati in uso corrente. Al momento, però, i test validati permettono, nella maggior parte dei casi, una riduzione degli animali impiegati e non un totale rimpiazzo.
Un altro ostacolo ad un loro maggiore impiego è la giusta necessità di validarli, ossia di dimostrarne la validità. Per ottenere ciò, però, sono paragonati ai modelli animali e se non forniscono lo stesso risultato non sono validati. Storicamente, però, i modelli animali non sono stati mai validati. Insomma, come omologare un’automobile prendendo a modello di paragone un’altra che non è mai stata a sua volta omologata.
Mi secca dirlo, ma c’è un po’ di ignoranza, incompetenza o malafede in questa affermazione. In cosa consiste il processo di validazione di un test tossicologico (perché, ricordiamolo, si sta parlando solo di questo e non di tutto il resto della ricerca in vivo)? Un test tossicologico viene validato sottoponendo a test in vitro un tot di sostanze note (alcune tossiche ed altre no) per vedere se vengono riconosciute correttamente rispetto al modello noto.
Ma continuiamo:
Nonostante tutti questi ostacoli esistono già molti metodi sostitutivi che possono essere divisi, schematicamente, in due grandi gruppi: biologici e non biologici. I primi utilizzano materiale biologico di vario genere, prevalentemente di origine umana, ma anche microrganismi. Vediamo alcuni esempi. I procarioti sono organismi unicellulari, come i virus e i batteri. Sono utilizzati soprattutto nelle ricerche sulla cancerogenesi e mutagenesi. Un esempio è rappresentato dal Test di Ames che impiega un batterio (Salmonella typhimurium) per selezionare le sostanze in grado di provocare mutazioni nel DNA umano. Le colture cellulari si ottengono mediante un prelievo molto piccolo di tessuto umano e successivamente messo in un terreno di coltura adatto alla sopravvivenza. Si possono usare in farmacologia, oncologia, fisiologia, immunologia, genetica, biochimica, microbiologia e radiologia. Le colture cellulari devono essere di origine umana, poiché quelle di origine animale uniscono i difetti legati a specie a noi differenti con quelli derivanti dall’utilizzo di parte di un organismo.
Sorvolando sul fatto che i virus non sono procarioti (i virus non sono nemmeno esseri viventi, e non hanno cellule, come ci insegnano nelle scuole superiori), gli esempi che fa il Dott. Cagno sono presentati come fossero qualcosa di nuovo e sconvolgente che non viene utilizzato; anche questo non è vero.
Lo stesso si può dire per i test su colture cellulari, che si utilizzano correntemente, addirittura dagli anni ’50 (le cellule HeLA, prima linea cellulare immortalizzata sono state isolate dalla signora Henrietta Lacks, morta nel 1951).
I test in vitro su cellule e batteri sono comunemente utilizzati in tossicologia ed in numerosi altri ambiti di ricerca, ma non sono sostitutivi dell’animale, ma complementari.
Nella stessa maniera in cui la leva del cambio di una macchina non è equivalente ad una macchina intera (per utilizzare l’analogia con le automobili cara al Dott. Cagno), penso possa essere chiaro a tutti che una coltura cellulare non è equivalente ad un organismo completo.
Andiamo avanti nell’analisi:
Tra tutti i metodi biologici quelli che adoperano tessuti ed organi isolati sono sicuramente i più affidabili. I materiali si possono ottenere ogni giorno e senza alcuna spesa nelle sale chirurgiche: infatti, i tessuti e gli organi asportati sono di solito in massima parte buttati via. Se vengono recuperati, invece, si possono condurre ricerche soprattutto nello studio delle patologie e, in particolare, dell’oncologia.
Quanto appena riportato, invece, è indice di mancata conoscenza da parte del Dott. Cagno, del lavoro di laboratorio, soprattutto per fini di ricerca. Se è vero che in alcuni, isolati e selezionati casi, si possa utilizzare materiale bioptico per alcuni studi (le cellule HeLA che abbiamo citato prima derivano, infatti, da una biopsia), negli altri casi il materiale che si utilizza deve essere comunque standardizzato, in maniera da garantire la riproducibilità dell’esperimento e deve essere garantita l’assenza di patologie genetiche o virali che potrebbero inficiare o falsare l’esperimento in questione. Un campione bioptico, inoltre, non è necessariamente sterile e anche un solo batterio, in coltura, tende a crescere. In laboratorio si utilizzano infatti terreni antibiotati e tutte le manipolazioni vengono effettuate in sterilità proprio per evitare la contaminazione di batteri o virus. L’utilizzo di materiale bioptico, inoltre, ponegravi rischi per la diffusione di virus latenti, che potrebbero contaminare gli operatori ed, eventualmente, essere diffusi nell’ambiente.
Continuiamo:
I metodi non biologici comprendono tutte quelle tecniche che sfruttano sussidi meccanici o analisi teoriche. L’epidemiologia studia la frequenza e la distribuzione dei fenomeni epidemici e quindi delle malattie nella popolazione, mentre la statistica è la disciplina che si occupa del trattamento dei dati numerici derivati da un gruppo di individui. L’impiego della epidemiologia e della statistica ha permesso di riconoscere la maggior parte dei fattori di rischio delle malattie cardiocircolatorie quali l’ipertensione arteriosa, il fumo di sigaretta, il soprappeso, l’ipercolesterolemia, la mancanza di esercizio fisico. Queste ricerche mettono di solito a confronto due condizioni, ad esempio il fumo di sigarette e lo sviluppo di tumori polmonari. In questo caso si è dimostrato che aumentando il numero delle sigarette fumate, aumenta anche il rischio di sviluppare un tumore polmonare e quindi, di conseguenza, che il fumo di sigaretta è cancerogeno.
Al momento non esistono test di teratogenesi in vitro che siano validati. L’unico test di questo tipo validato dall’ECVAM è il m-EST ed è un test di embriotossicità e non di teratogenesi. Sono cose simili, ma non uguali: un farmaco può essere teratogeno e non embriotossico (l’embrione si sviluppa in maniera completa, anche se anormale) e viceversa (l’embrione muore subito e quindi non si sviluppa in maniera anomala).
L’altro limite dei dati epidemiologici consiste nell’enorme numero di dati che vanno analizzati, che aumenta in maniera esponenziale con la rarità dell’effetto collaterale da individuare. Ad esempio, se dovessimo individuare, con un livello di confidenza del 95%, una malformazione fetale che si verifica nell’1% dei casi trattati dovuta ad un farmaco, avremmo bisogno di analizzare 35.000 gravidanze a cui il farmaco è stato dato (ottenendo, però, la nascita di 350 bambini malformati: calcolo citato su Schardein, Drugs as teratogens, CRC press). Direi che anche in questo caso sia comprensibile a tutti perché ciò non si faccia e sia preferibile sperimentare su animale: non è infatti accettabile pensare di far nascere 350 bambini con malformazioni solo per testare la teratogenicità una sostanza.
Le banche dati consistono nella raccolta di tutti i risultati sperimentali riguardanti un determinato argomento e nella successiva archiviazione nei data-base dei computer. Questo metodo non può essere ritenuto sostitutivo in senso stretto, poiché potrebbe essere impiegato anche negli studi con animali; ha in ogni caso il pregio di evitare la ripetizione di ricerche identiche.
Esiste da un sacco di tempo: una volta si chiamava Medline, adesso si chiama Pubmed. Pubmed è la più grande banca dati sulla letteratura scientifica, gestita dal “National Center for Biotechnology Information, US National Library of Medicine” presso il “National Institute of Health” di Bethesda (Maryland – USA): nata nel 1996, quando internet era ancora agli albori. Al momento raccoglie oltre 20 milioni di citazioni complete tratte da riviste scientifiche e libri, oltre a migliaia di lavori completi nella sezione PubMed Central. Ogni mese oltre 80 milioni di ricerche on-line vengono effettuate da scienziati di tutto il mondo nel suo immenso database.
Anche in questo caso, secca dirlo, ma sembra una riscoperta dell’acqua calda.
L’uso dei computer non consiste solo nell’immagazzinare dati, ma anche nell’elaborazione finalizzata alla simulazione di procedimenti metabolici e funzionali del corpo umano attraverso l’uso di computer analogici. Possiamo ad esempio confrontare la struttura chimica di un nuovo farmaco, con quella di tutti gli altri già in commercio. Alla fine avremmo un’idea abbastanza precisa di come sarà metabolizzato ed eliminato.
Il Dr. Cagno sta usando impropriamente il termine computer analogici per indentificare quelli ibridi analogico-digitali impiegati nella ricerca scientifica come “processori probabilistici“. Diversamente da quanto asserito da Cagno, questi processori probabilistici finalizzati alla sperimentazione animale, al momento attuale, sono solo dei prototipi teorici e fanno molta fatica a fare semplicissime operazioni matematiche (sottrazioni ed addizioni, ndr), figuriamoci riuscire a risolvere complesse equazioni matematiche per le simulazioni di bio-informatica.
I computer ibridi analogico-digitali, in un futuro molto prossimo, teoricamente potranno sostituire i cluster ad alta densità che sono usati oggi giorno nella sperimentazione animale per le simulazioni in silico; la biologia è un processo analogico, quindi simulandola od analizzandola in analogico si otterranno risultati molto più velocemente rispetto all’uso delle simulazioni in digitale, come invece facciamo oggi giorno con i computer tradizionali. Il problema di fondo di un computer ibrido analogico-digitale è che i suoi calcoli probabilistici saranno comunque inficiati dall’effetto analogico stesso, perché altamente impreciso (a differenza di quello digitale che è un processo molto più preciso, pur rimanendo anch’esso un metodo matematicamente impreciso, ma in misura molto minore). Ecco dunque che si rende necessario “rettificare” tali dati tramite la parte digitale del computer ibrido, così da renderle più precise. In questo modo si ottenengono benefici sia sul piano dei costi di manutenzione (consumi di elettricità, personale, parti di ricambio eccetera), sia su un’acquisizione dei dati molto più rapida che sulla semplicità costruttiva del dispositivo stesso; infatti un modesto cluster ad alta densità, solo di costi di manutenzione, è una spesa talmente elevata che solo pochi riescono a permettersi.
Al momento della scrittura di questo articolo, le uniche ricerche finanziate per lo sviluppo di computer ibridi analogico-digitali sono quelle per la realizzazione di semplici apparecchiature mediche per la diagnostica o qualche promettente studio per future tecnologie mediche, manon ce ne sono per applicazioni nel settore della sperimentazione animale, quindi non è ben chiaro a quali innovazioni tecnologiche si rifesca il dott. Cagno quando parla di “computer analogici [sic]”.
Sorvolando sull’uso improprio della terminologia bio-informatica del dott. Cagno, il confronto delle analogie tra molecole note e quelle in sviluppo già si fa, proprio nella fase di progettazione delle molecole. Anche qua, il metodo non sostituisce per nulla l’animale, dato che è un lavoro che viene fatto addirittura prima della fase di sperimentazione in vitro.
Infine i modelli matematici e meccanici si ricollegano all’uso dei computer. Infatti, i dati immessi devono essere poi analizzati mediante calcoli matematici e le conclusioni possono essere applicate creando dei modelli meccanici, ossia manichini in grado di mimare una determinata situazione, come nel caso delle patologie cardiocircolatorie, oppure nelle simulazioni degli incidenti automobilistici che hanno già sostituito l’uso delle scimmie.
Ultima parte dell’articolo:
Concludendo, ritengo utile presentare un esempio per dimostrare la mancanza di volontà di cambiare dei vivisettori. Il Test di Bettero consiste nel mettere una lacrima umana a contatto con la sostanza in esame. Se questa è irritante provocherà la rapida liberazione di altre sostanze, chiamate mediatori chimici. I vivisettori, invece, continuano ad utilizzare il Draize test, una prova inventata nel 1944, in cui si spalma negli occhi dei conigli, immobilizzati, la sostanza in studio e successivamente si valutano le reazioni che posso arrivare alla distruzione stessa degli occhi. Insomma si preferisce un test vecchio, non scientifico e crudele, ad un altro moderno, scientifico, eticamente ineccepibile.
Il Dott. Cagno dimentica una parola dopo “moderno, scientifico, eticamente ineccepibile”, manca la parola “validato”.
personalizzato, cosicché ogni persona può valutare la sua risposta ad una data sostanza
Ad ognuno di noi la scelta di continuare ad illudersi che la nostra salute sia tutelata dalla vivisezione, oppure battersi affinché quest’ultima sia finalmente abolita.
Se la tutela della salute deve essere affidata a chi dice che “ogni persona può valutare la sua risposta ad una data sostanza”, forse è meglio come stiamo adesso!
Tutti gli scienziati si preoccupano affinché il numero di animali impiegati si possa ridurre (le 3R si utilizzano dagli anni ’50, se per caso fosse sfuggito a qualcuno), ma non è dando informazioni errate o incomplete come quelle che abbiamo analizzato in questo articolo che si ottiene qualcosa. Sarebbe piuttosto utile se Equivita, invece di parlare male (a sproposito, come abbiamo visto) della sperimentazione in vivo, si impegnasse nella raccolta di fondi da destinare al CAAT oppure all’ECVAM; come, ad esempio, fa il Dott. Hadwen Trust Fund.
[Dott. Dario Padovan – Comitato Scientifico Pro-Test Italia]