Asinus Novus e la “disobbedienza civile”

Asinus Novus (da qui in poi AN) è un blog antispecista. I suoi aspetti positivi sono che si occupa di filosofia e non di scienza, e dunque non pretende di darci lezioni sulla sperimentazione animale. I suoi aspetti negativi sono che si occupa di filosofia e assolutamente non di scienza; e quando il rifiuto per le forme e la struttura rigorose del pensiero scientifico travalica un limite, sorgono manipolazioni ed errori.

In questo caso, AN ha lasciato un commento sull’episodio del furto delle cavie all’istituto di farmacologia di Milano e sulla nostra contromanifestazione. Il punto dell’articolo sfugge per lo più, ma in esso sono dette tante cose, alcune giuste che vanno riconosciute, altre sbagliate che vorremmo contro-commentare.

Non abbiamo mai pensato che fosse un gran problema chiamarla sperimentazione animale (SA) invece che vivisezione, anzi, troviamo che la prima sia un’espressione più corretta. Generalmente gli antivivisezionisti temono (mentre spesso i pro-SA sperano) che semplicemente cambiando il nome sia possibile fare scomparire dall’immaginario la cruda realtà della sofferenza degli animali rinchiusi negli stabulari, sottoposti agli esperimenti e infine soppressi.

Non esattamente. Noi usiamo i termini con correttezza scientifica e senza sfumature emotive. “vivisezione” non solo è sbagliato, ma ha anche una forte sfumatura emotiva negativa; sperimentazione animale non è sinonimo di “piacevolezza” o “crostata della nonna”; semplicemente non ha sfumature emotive che non siano quelle che ci saranno messe in seguito al processo di informazione, e questo è il suo pregio fondamentale.

a nostro parere l’attenzione ai termini potrebbe essere un’occasione per ampliare effettivamente le proprie conoscenze (evitare l’uso di foto contraffatte, la divulgazione di dati strampalati, le rappresentazioni caricaturali dei “vivisettori”) e comprendere la sperimentazione animale per quello che realmente è, cercando di inserirla nel sistema di cui fa parte.

Sì, è quello che facciamo noi. Mostrare le cose come stanno. Quelli di AN hanno un pregio, dal nostro punto di vista, ma un difetto dal punto di vista della propria stessa causa: non sono demagoghi. LAV, PETA, LIMAV e compagnia cantante sanno che se vuoi abbattere la sperimentazione animale la verità su di essa non basta: servono manipolazioni scientifiche, immagini fuorvianti, linguaggio ad alto contenuto emotivo; oscurità e non chiarezza. Quello di cui AN non si rende conto è che la verità non va a loro favore. Foto contraffatte, dati strampalati, rappresentazioni caricaturali di “vivisettori”, non sono accessori dispensabili nella battaglia contro la sperimentazione animale, perché sostanzialmente sono essi i motivi veri della battaglia. Nessuno ci attaccherebbe se non fossero mostrate foto contraffatte (o, aggiungo io, prive di spiegazioni su cosa rappresentano), dati strampalati e rappresentazioni caricaturali e mostruose degli assassini senza cuore vivisettori. E infatti lo stesso AN pubblica subito dopo un “interessante documento” che noi faremmo rientrare sicuramente, per come è strutturato, nella categoria foto contraffatte o prive di spiegazione. Forse lo pubblicano per criticarne il metodo? Boh, in ogni caso ne ricavano una conclusione molto giusta:

C’è un aspetto importante, banale forse, che non viene quasi mai preso in considerazione, oscurato com’è dal contrapposto impegno a far apparire i ricercatori come mostri sadici, o viceversa, come titanici benefattori dell’umanità: per i ricercatori la sperimentazione sugli animali è innanzitutto un lavoro, una fonte di reddito; una prospettiva di carriera e di affermazione personale […] Nel laboratorio, dove gli esperimenti fanno parte della consuetudine, accadono le cose che accadono in molti altri luoghi di lavoro. Si ascolta la radio, ci si annoia, si scherza; si fanno spesso strappi al regolamento e ogni tanto bisogna nascondere al capo gli errori che si combinano, sennò quello metterebbe fine al progetto di ricerca; come tra gli insegnanti, i muratori e i commercialisti, anche tra i ricercatori ci sono quelli abili e i mezzi incapaci. Anche la loro sensibilità ha gradazioni differenti.

Oh, questo è un momento di grandissima saggezza. Sì, non avrebbe senso negare che sia in questo modo. È un lavoro. Ricordiamo anche che potevamo benissimo fare mille altri lavori, ce n’erano sicuramente di più redditizi; e ricordiamo anche che lo stesso ricercatore può scegliere, per quanto riguarda se stesso (ma non per TUTTA la comunità scientifica), di fare ricerca senza animali, c’è bisogno anche di quella. Quindi allontaniamo il solito spettro dell’”interesse economico” dietro le nostre argomentazioni; è chiaro che difendiamo una parte del nostro lavoro, ma se non avessimo creduto nel nostro lavoro ne avremmo fatto un altro. Però è vero che si tratta di un lavoro, una pratica di tutti i giorni, una cosa che necessariamente diventa banale, appunto perché si fa tutti i giorni.

Non dovrebbe sorprendere quello che dicono gli autori dell’articolo: “Si ascolta la radio, ci si annoia, si scherza; si fanno spesso strappi al regolamento e ogni tanto bisogna nascondere al capo gli errori che si combinano”.

Suppongo che a volte capiti sì di fare strappi al regolamento. E capitano anche degli errori; e attenzione qui a sparare subito l’accusa di incompetenza, perché ricordiamo, per dirne una, che in laboratorio c’è gente che il lavoro lo sta imparando: tesisti, dottorandi e compagnia cantante devono imparare cosa stanno facendo, e in realtà anche per un ricercatore o un professore, persone professionalmente “arrivate”, ci sono decine di tecniche, magari le più moderne, che sono tutte da imparare. Quindi sì, si può fare un errore, può capitare che ti spediscano dell’anestetico andato a male, può capitare che un’operazione vada a farsi friggere perché si è rotto uno strumento sul momento, può capitare che la sbaglia perché ancora stai imparando come si fa, e simili. In quel caso si dà un bella botta d’anestetico all’animale sfortunato e finisce tutto lì. L’errore umano in realtà può capitare anche in situazioni ben più serie, ad esempio ad un medico durante un’operazione chirurgica; molte variabili possono mutare quando si ha a che fare con materiale biologico, ma questo è un grattacapo di chi se ne occupa, non di chi sta fuori, in teoria.

È chiaro tuttavia il messaggio di AN e degli animalisti: per loro derattizzare un quartiere si chiama genocidio e lasciare una trappola per topi omicidio premeditato, per cui suppongo che se un tesista sbaglia un’anestesia si tratta di omicidio colposo. La differenza è evidente: per loro la vita animale è sacra, così sacra quanto nemmeno quella umana è. Per noi, invece, per la quasi totalità della popolazione, non lo è; infatti gli animali li mangiamo pure, perché non sono sacri e ucciderne uno non è omicidio premeditato.

Quello che deve essere ovvio e che è sufficiente per i nostri scopi è che si riconosca che il ricercatore fa il suo lavoro e, come norma, cerca di farlo bene. E ci preme anche sottolineare che non sempre se si comporta bene lo fa solo per via del regolamento: se l’anestetico non funziona a dovere e l’animale si sveglia prima non riesci a portare a termine l’operazione, e questo significa che devi buttare tutto: tempo, denaro, fatica.
Nessun ricercatore è ansioso di far andar male un esperimento. Ma può accadere, come accade che vada male un’operazione chirurgica su un umano.

Che ogni tanto qualcosa vada storto è contemplato. Per noi la vita di un animale da laboratorio ha senz’altro una sua importanza, ma non è sacra e non possiamo flagellarci la schiena ogni volta che un animale muore.

Ne consegue che, se noi animalisti non siamo liberi di diffondere falsità scientifiche sulla SA, come non siamo liberi di descrivere gli scienziati come sadici sanguinari, lo siamo, ed eccome se lo siamo, di esigere di vedere e di far vedere cosa accade agli animali utilizzati negli esperimenti. Abbiamo tutto il diritto di non accontentarci delle fotografie dei tecnici di ricerca che solleticano amorevolmente il musetto di quattro beagle pubblicate dagli istituti del settore (se davvero tutta la sperimentazione è così, ci offriamo noi senza problemi! Prendeteci!), dal momento che condizione necessaria perché un corretto confronto pubblico possa avvenire è fare corretta informazione: e nel senso degli eventuali benefici della SA per la salute, e nel senso dei suoi costi per gli animali. Chi vuole privarci della possibilità di lavorare su questo secondo aspetto, merita il nome di oscurantista. Chi pretende che la popolazione decida senza vedere, perché poverine le casalinghe si impressionano e poi ragionano male, pure quello di paternalista e di antidemocratico.

Al paese mio, non accettiamo lezioni di democrazia da apologeti del crimine che giustificano e sostengono chi viola apertamente una legge di uno stato democratico. Ma a parte questo, il passaggio è molto interessante. Tanto per cominciare vorrei notare che l’azione vandalica ai danni dell’istituto di farmacologia di Milano, se lo scopo era quello di informare e mostrare mostruosità, ha fallito: si vedevano gabbie pulite e animali in buona salute. 1-0 per gli scienziati.

Ma a parte questo l’accusa rivolta ai ricercatori è principalmente quella di scarsa trasparenza. I famosi laboratori bunker dove si producono cani mutanti con tre teste, e la gente non lo sa…

Gli autori fanno uno scambio sottile che la gente potrebbe non notare, ma che noi abbiamo notato: nel mezzo del paragrafo parlano di “informazione”, ovvero una cosa che attiene al “sapere”. Nel resto del paragrafo poi però fanno riferimento al “vedere”. Sono due cose completamente diverse, il “vedere” non è neanche una componente del “sapere”; puoi vedere e convincerti di sapere senza in realtà farlo, e viceversa puoi sapere anche senza vedere. Forse che in tutte le sale chirurgiche d’Italia ci sono telecamere per controllare l’operato dei medici? Spero di no, si innervosirebbero anche alquanto, credo, ad essere controllati di continuo come dei criminali. Eppure quello che accade nelle sale operatorie si può sapere.

Quelle volte in cui gli animalisti mostrano immagini autentiche, fanno vedere, ma non fanno sapere, non danno “corretta informazione”. La nostra casalinga può ben giudicare il lavoro che facciamo su un animale quando gli piazziamo un elettrodo in corteccia cerebrale, ma per farlo deve sapere a cosa serve l’esperimento, deve sapere che non c’è altro modo per svolgerlo, e deve sapere che nella corteccia non ci sono recettori del dolore e dunque l’elettrodo in corteccia non fa male.

I nostri paladini della corretta informazione ci tengono molto a “far vedere”, ad avere preziose immagini da non-spiegare o spiegare con parole fantasiose alla gente, ma non ci hanno mai tenuto a “far sapere”.

Guardate un video così:

Questo bambino viene preparato ad un’operazione chirurgica per curarlo dall’epilessia grazie ad un elettrocorticogramma (tecniche così sono rese possibili dall’approfondita conoscenza della neurofisiologia derivata dalla sperimentazione su animali, in parenthesis).

Adesso togliamo il commento audio e titoliamo: “esperimenti su cavie umane: bambino torturato dalle case farmaceutiche”. Così ho fatto corretta informazione, solo perché ho fatto “vedere”?

Eppure sapere è semplicissimo anche senza vedere; le descrizioni degli esperimenti sono facili da trovare, facilissime, non sono tenute nascoste e nessuno si preoccupa di farlo. Gli autori dell’articolo di AN sono due, e forse qui si vede una discordanza, perché prima si ricorda che il nostro è solo un lavoro, poi però la cosa viene dimenticata e torna ad aleggiare su di esso un’aura di mistico, sacro ed esoterico potere… Ricordo infatti che essendo il nostro un lavoro, ed uno finalizzato a pubblicare risultati di rilievo su riviste scientifiche, esso è tutt’altro che segreto: tutte le informazioni sono pubbliche, tutte le procedure descritte nel dettaglio nelle pubblicazioni, moltissime delle quali si possono leggere gratis su internet. Dov’è il difetto di trasparenza? Ah, giusto, non vi facciamo vedere.

Io sono un residuato della cultura della parola scritta, trovo che un testo scritto dettagliato sia più ricco ed interessante di un video; mi accorgo purtroppo però che la gente si scoccia molto a leggere, con tutte quelle parole complicate intrecciate… e poi bisogna studiare per capirle tutte… nah! Vogliamo un bel video, così non dobbiamo pensarci su troppo.

E va bene, volete un video? Ecco un video, fatto da un ricercatore (astenersi emofobi, è un’operazione chirurgica):

Si tratta di una perfusione in vivo. Non vedrete mai nulla di più cruento di una perfusione in vivo in un laboratorio, garantito; questo è sostanzialmente il “peggio” che si possa vedere. L’animale soffre? È così anestetizzato che non si risveglierebbe mai neanche se annullassero l’operazione, ed è cerebralmente già morto molto prima che essa si concluda.

Ho assistito a questa procedura dal vivo; nonostante non sia dolorosa per l’animale, le prime volte assistere fa una certa impressione. Eppure è messa su youtube da un ricercatore, che volete di più? Cosa intendete per trasparenza? Qui sembra che si intenda “con commento drammatico che ti spiega ‘l’orrore’, immagini sfocate e musichetta triste di sottofondo” .

Gli attivisti di Fermare Green Hill che sabato 20 aprile hanno fatto irruzione nei laboratori di Farmacologia dell’Università Statale di Milano con lo scopo di “abbattere il muro di silenzio” che avvoltola il mondo della ricerca scientifica che fa uso di animali hanno intenzionalmente violato la legge per denunciare quello che, lontano dai nostri occhi, le cavie subiscono durante le pratiche sperimentali.

E come accennavo prima, non hanno combinato niente. Non sono riusciti a ottenere neanche una delle loro fondamentali “immagini ad alto impatto emotivo”. Solo animali in gabbia, in buona salute. Entrando in un negozio di animali probabilmente avrebbero visto di peggio.

Hanno agito a volto scoperto, ben consci del fatto che dovranno rispondere delle loro azioni davanti a un tribunale, al cui giudizio non hanno mai pensato di sottrarsi. Non hanno usato alcuna arma se non i loro stessi corpi per impedire che la polizia facesse irruzione nei locali occupati, si sono fotografati e hanno pubblicato le immagini sulla rete, a ulteriore dimostrazione della loro volontà di autodenunciarsi. Ovvero non hanno scelto la strada del terrorismo, come qualcuno vorrebbe subdolamente far passare, ma quella della disobbedienza civile.

Semantica, io quando si danneggia una proprietà pubblica per centinaia di migliaia di euro lo chiamo vandalismo e delegittimazione delle leggi dello stato, ergo crimine.

Ma in generale, diciamo che c’è della ragione in quello che dicono gli autori, anzi, è un po’ tautologico: se sei disposto ad accettare le conseguenze dell’infrazione di una legge, e sei nelle condizioni fisiche per riuscire a infrangerla, farlo rientra nelle tue possibilità. Se io sono disposto a pagare la multa e non c’è nessun controllo all’ingresso, posso benissimo non pagare mai il biglietto dell’autobus, o evadere le tasse o quel che si vuole. Ma sì, chiamiamola disobbedienza civile, non mi importa come la chiamiamo; gli autobus sono sporchi, affollati e fanno sempre tardi, quindi non li pago. Disobbedienza civile.
Hanno però omesso un dettaglio di rilievo: il fatto di essere disposti a pagare per un crimine non lo rende di per sé meno criminale, non ne altera il disvalore morale, non sottrae gli autori al giusto biasimo della società e delle vittime.

Noi per parte nostra non facciamo sconti su chi va a volto scoperto perché tanto si percepisce come il santo martire della situazione. Se hai rotto, paghi. Se hai rotto e ne sei pure fiero e te ne vanti, sei pure un po’ scemo.

Domenica 21 aprile, grazie all’appoggio del segretario generale di Federfauna Massimiliano Filippi, che ha garantito per loro in tempi record il permesso di manifestare presso la questura, alcuni studenti e ricercatori della Statale hanno indetto un contro-corteo a Piazza Piola, per protestare contro l’occupazione del dipartimento. Alla manifestazione ha partecipato anche Lodovico Valenza, segretario di FederFauna Lombardia, che significativamente dal sito dell’associazione invita tutti coloro che sono coinvolti in attività che sfruttano animali (circensi, cacciatori, allevatori, addestratori, ecc.) a fiancheggiare studenti e ricercatori, ché quando sarà il loro turno, auspicabilmente, saranno quelli a fiancheggiare loro (ne desumiamo che gli scienziati che hanno tanto a cuore il benessere animale si troveranno nella simpatica situazione di dover sostenere Federfauna anche quando difende la macellazione rituale, che prevede la iugulazione di un animale cosciente).

Difenderemo, se ci sarà chiesto, o anche se non ci sarà chiesto, le pratiche che riteniamo meritino difesa. Visto che con Federfauna condividiamo ciò che condividiamo con circa il 90% della popolazione e che non condividiamo con gli animalisti, e cioè l’idea che la vita animale non sia sacra, è possibile che ci siano varie iniziative in cui si possa combattere affiancati, come altre in cui ciò non sia fattibile.

I ricercatori hanno altresì mostrato grave preoccupazione per la sorte delle cavie, che essendo immunodeficienti rischiano di non sopravvivere a lungo al di fuori di un ambiente sterile come quello del laboratorio (dove morirebbero ghigliottinate per mano degli stessi, dopo aver subito dolorosi esperimenti); in questo senso, lamentano che quest’azione, dettata da un’emotività precipitosa e fuori controllo, sia stata inutile per gli stessi animali.

Un topo nudo non è destinato ad avere una vita lunga, non può sopravvivere in ambiente non rigorosamente controllato; si ammala e muore, e generalmente i batteri e i virus non si prendono grande cura di ucciderlo senza farlo soffrire (a proposito, la ghigliottina non si definirebbe di certo una morte lunga e dolorosa, o qualcuno ha da obbiettare su questo?). Quindi, a meno che i nostri autori non sappiano esattamente quali topi hanno sottratto e che esperimenti avrebbero subito, è plausibile che gli abbiano fatto più bene che male; nel migliore dei casi, non gli hanno fatto niente.

Ma che sia stata veramente inutile, è segretamente ciò che essi si augurano. Come ogni atto di disobbedienza civile, l’occupazione di Farmacologia mira a contestare pubblicamente un’autorità ritenuta ingiusta: quella della comunità scientifica, che continua a disporre di vite animali come fossero semplici cose. Laddove il terrorismo distrugge e non lascia spiragli, la disobbedienza civile si sforza di proporre: e ciò che quei cinque attivisti hanno proposto con la loro protesta incarnata è precisamente l’idea di una comunità allargata, dove gli interessi umani non siano perseguiti sulla pelle di altre creature sofferenti. Come scrive Leonardo Caffo, il tempo per una riflessione che non sia chiusa entro i confini della legge o della specie è ormai maturo: e potremo forse finalmente decidere di respingerli, quei privilegi grondanti sangue.

Bene, diciamola tutta. Io ci ero arrivato già a metà articolo, ma gli autori ci hanno messo di più: il problema è proprio che la vita animale per loro è sacra, è come quella umana. Allora io vorrei ricordare che qui il problema non è la sperimentazione animale, per questi individui; per questi grandi filosofi, l’illegittimo morale è porre termine ad una vita animale.

Per essere una “proposta” (e che proposta!), ha dei margini che definire sfumati è un eufemismo. A parte che la proposta qui è “fate come diciamo noi, cedete su tutta la linea, altrimenti veniamo a rubarvi in casa e a rovinarvi il lavoro”… Su queste traballanti basi filosofiche si potrebbe tranquillamente proporre, ad esempio, di deviare i soldi pubblici dalla costruzione di ospedali per umani a quelli per animali; perché infatti una cucciolata di topi non dovrebbe essere considerata parte integrante della comunità come un bambino, e trattata come tale? “È un’esagerazione”, diranno gli animalisti. Ma hanno posto le basi per qualunque esagerazione, insistendo sull’”allargare la comunità privilegiata”.

O forse volevano soltanto negoziare il benessere degli animali? Quello si fa già tutti i giorni, abbiamo fatto incredibili progressi nella cura del benessere degli animali da laboratorio (così come anche di quelli da carne, in realtà); se vogliono negoziare un miglioramento della nostra considerazione degli animali, questo si sta già facendo. Ma non è quello che essi vogliono fare, lo dicono chiaro e tondo; il principio è di rinunciare ad ogni privilegio (“grondante di sangue”(sic!)) che l’umano si è garantito e che gli ha permesso di sopravvivere; insomma come se il lupo rinunciasse al “privilegio grondante di sangue” di mangiarsi il cinghiale, a costo di morire di fame, perché è immorale (proveremo a chiederglielo con una petizione, oppure libereremo per protesta i cinghiali messi alle corde da branchi di lupi affamati).

Allora non è un’esagerazione proporre ospedali per animali come urgenti, più urgenti di quelli per umani; non è un’esagerazione dire che molti di noi dovranno morire di fame perché coltivare i campi a scapito di pesti e parassiti è un illegittimo morale; è la diretta conseguenza di questo punto di vista delirante, come lo è peraltro l’estinzionismo umano, la teoria secondo la quale la specie umana dovrebbe sparire. Essa non è una posizione estremistica che deriva da odio verso l’umanità, come pensano su AN, ma la naturale conseguenza finale di una filosofia secondo la quale l’uomo abbia doveri morali verso la natura, e che la natura non ricambia.
Non c’è novità nel proporre considerazione per gli animali. C’è novità, e anche assurdità, a proporre piena uguaglianza di considerazione per gli animali.

E, d’altro canto, immaginiamo quale profondità filosofica possa aver generato un’idea così geniale…

Anzi, perché immaginarla? Leggiamo cosa ne pensano i nostri liberatori, intervistati dalla rivista VICE:

Il dovere della scienza è trovare un metodo alternativo. Non è una cosa che ci riguarda, noi siamo persone evidentemente più sensibili, proviamo più empatia per la sofferenza degli esseri viventi, per i più deboli, anche per gli umani. La scienza deve girare la sua ricerca in maniera più etica, magari cominciando a non avvelenare il mondo che ci circonda. Alla fine sono le case farmaceutiche a decidere. Sono loro che fanno il bello e cattivo tempo nella ricerca. Che la smettano di inquinare il mondo con esperimenti di nano e micro tecnologie, ci avvelenano e basta. Prima ci avvelenano e poi vogliono venderci la cura. Basta.

Grassetto mio. Già, che non li riguarda e non gli interessa la ricerca medica ce n’eravamo accorti. Nonostante non li riguardi la ricerca, i suoi scopi e le sue funzioni, la vogliono bloccare lo stesso. Informarsi prima no? Sulle “nano e microtecnologie che avvelenano il mondo” stendiamo un velo pietoso, via…

noi siamo persone evidentemente più sensibili, proviamo più empatia per la sofferenza degli esseri viventi, per i più deboli, anche per gli umani.

Madonna che filosofi, e non solo, che persone profondamente umane! Praticamente un incrocio fra Francesco D’Assisi, Ghandi e Immanuel Kant. Proponiamo la prima canonizzazione in vita per questi santi. Evidentemente questa compassione universale non è rivolta ai malati e a chi fa ricerca per curarli, quindi non è proprio vero che sono empatici con gli umani… ma sono comunque così sensibili!

E quando tanta compassionevole sensibilità incontra un botto di intelligenza come questo, accadono sempre belle cose. Tipo le Crociate.

No, non abbiamo simpatia per questi vandali. Non abbiamo simpatia per chi infrange la legge; noi non lo facciamo, ma questo mica vuol dire che siamo sempre d’accordo con la legge; semplicemente rispettiamo le istituzioni democratiche e la società civile, dunque non compiamo crimini. E non crediamo che la prepotenza sia un mezzo per la risoluzione dei conflitti, specialmente quando a conti non fatti non porta assolutamente a nessun risultato positivo, ma solo a danni.

E a proposito di risultati,su una cosa lo stesore dell’articolo ha ragione: l’azione di questi esaltati ha avuto e avrà conseguenze, non passerà nel nulla. Una su tutte, ci ha fatto stancare di star lì a subire; c’è già stata una prima reazione, e ce ne saranno altre, perché i ricercatori si sono stancati di subire in silenzio insulti, offese, aggressioni e persecuzioni, peraltro nel silenzio o nel tacito compiacimento dei media. Pensate che ce ne staremo buoni a lasciare che altri vandali rovinino il nostro duro lavoro con la loro prepotenza e aggressività? Non lo permetteremo più, contateci.

Buona fortuna ai disobbedienti (in)civili.

Alberto Ferrari (Neurobiologo del comitato scientifico di Pro-Test Italia)

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